In una bella intervista rilasciata ad un giornale telematico, lo storico Paolo Mieli si sofferma sulla inadeguatezza degli italiani a combattere per delle idealità. L’argomento, già tempo addietro affrontato su queste stesse colonne, è ora entrato di prepotenza nel dibattito generale, diventando patrimonio di riflessione comune. L’intervista all’ex direttore del Corriere della Sera mette in evidenza che gli italiani, se invasi da uno straniero, sarebbero inclini a patteggiare con lui invece di combatterlo. Insomma, non siamo neanche disposti ad affrontare qualche privazione e i rincari in nome della difesa di un valore superiore qual è quello della libertà. È su queste basi che si sta diffondendo, presso l’opinione pubblica, il concetto che la guerra in Ucraina debba finire con la resa incondizionata di Kiev evitando in tal modo ulteriori lutti e, soprattutto, che altre nazioni debbano sopportarne, in qualche modo, il riverbero di un danno economico. Diciamocela tutta: questo è il tipico ragionamento di gente che non è disposta a rinunciare a niente dei propri agi e delle proprie comodità in nome di un diritto che accomuna tutti i popoli ad avere confini sicuri e sovrani e piena libertà di scelta. Figurarsi se potrà mai essere disponibile a versare il proprio sangue in analoghe circostanze! Come avemmo già a dire, prevale in noi l’anima levantina e servile: un connotato storico diventato ontologico in un Paese, il nostro, che ha patito, per secoli, la soggezione alle invasioni straniere. A questa naturale conformazione della indole italiana si aggiunge l’esercizio dell’idea di un pacifismo ad oltranza, spesso a senso unico, basato sull’idiosincrasia anti americana della sinistra nostrana, al quale si aggiunge un malinteso sovranismo che ritiene i fatti in Ucraina del tutto estranei e dannosi ai nostri interessi economici e commerciali. Insomma contrariamente a quanto gli stereotipi ci assegnano, di popolo generoso ed altruista, viene fuori di noi un ritratto che lo contraddice apertamente. E tuttavia sarebbe sbagliato accomunare tutti gli italiani a questo pensiero utilitaristico, scaltro e indifferente perché, come sempre, nel Belpaese ha diritto di cittadinanza la dicotomia violenta tra fazioni contrapposte. La gara di solidarietà, spesso silenziosa quanto generosa, sta a testimoniare che esiste anche un diverso sentimento popolare che fa prevalere la pietà e l’umanità oltre che il sentimento di solidarietà verso i profughi e le vittime di quella guerra. Eppure sui social, che ormai sono diventati una discarica di tutte le psicopatologie umane e la vetrina della protervia, di un diffuso qualunquismo alimentato da un’altrettanta diffusa ignoranza di base, si assiste a una prodigiosa conversone di pseudo virologi e tuttologi epistemologi della scienza, in esperti di politica estera e di strategia militare. Se attraverso questi strumenti telematici, molti si inventano nuovi ruoli, sulla base di sommarie e fresche letture, parlando ex cattedra da pulpiti eterei, si condiziona una parte del sentire comune che diventa opinione pubblica. Una variabile impazzita, quella presente sui social, che stravolge ancor di più il sentimento nazionale verso valori ed idealità già traballanti ed approssimativi. Se questo è il nuovo portato culturale della società, siamo messi male e forse ritorneremo ad essere quello che eravamo nei secoli passati: dispersi e divisi. Preoccupazioni e riflessioni che poco interessano alla massa che oggi si manifesta preoccupata dal caro bollette e che si aspetta d’essere ristorata dallo Stato. Cosa che avverrà puntualmente con un nuovo Recovery Fund europeo e un’altra vagonata di miliardi da assegnare agli Stati membri. Da Bruxelles arrivano notizie rassicuranti in tal senso e, al netto delle speculazioni degli italioti, la bufera passerà con ulteriori debiti da accollare alle future generazioni, quelle stesse che, come nemesi, si ritroveranno a pagare i costi di un’era politica che gioca tutto sulla spesa a debito statale crescente. Figli dei giovani che oggi se ne fregano altamente dell’amor di patria e della difesa delle libertà consegnate loro gratuitamente col sacrificio dei propri nonni e bisnonni. Usciti ignoranti e sprovvisti della minima concezione che qualcosa possa avere un valore e non un prezzo, dalla scuola, orfani della famiglia e dei suoi insegnamenti, costoro vagheranno nella vita denegando tutto quello che costi sacrificio e rinuncia. La Storia, che è maestra di vita, ormai è una cenerentola nei programmi didattici e con essa scompaiono quanti, loro malgrado, dovettero farla col sacrificio della vita stessa. Chi fosse il milite ignoto e cosa rappresenti non è affar loro, viceversa si tengono aggiornati spasmodicamente sul prezzo del carburante. Sul marmoreo vittoriale che a Roma ci ricorda i martiri di un tempo, installeranno un distributore di benzina. Hai visto mai?