TORINO – Mezz’ora di conferenza stampa, di messaggio agli italiani. Come al solito, Giuseppe Conte viene dopo il tiggì e scandisce le tappe della ripartenza che sarà lenta e ponderata, forse più lenta e ponderata di quello che ci si poteva immaginare. Tanto rumore per nulla? Non proprio ma quasi.
Più che le aperture, il premier fa notizia con le chiusure: la scuola fino alla conclusione dell’anno scolastico; bar, ristoranti e negozi fino a giugno; il campionato di calcio non si sa quando potrà ricominciare perché tra il 4 maggio e il 18 maggio inizieranno gli allenamenti degli atleti professionisti, prima individuali poi collettivi; l’autocertificazione sarà ancora necessaria perché i confini regionali saranno ancora chiusi a meno di comprovate esigenze di lavoro eccetera eccetera.
Il prossimo lunedì la ripartenza dell’Italia sarà con il freno a mano tirato, non uno scatto da Formula 1 ma, al massimo, da trattore diesel. Prima la salute, poi tutto il resto è il refrain che ha intonato Conte a reti unificate, battendo e ribattendo sulla questione del rispetto della distanza sociale, dell’uso delle mascherine, insomma vellicando il tema dell’educazione civica che dovrebbe portare il Paese fuori dal rischio di un nuovo lookdown. Perché, ha aggiunto, sciogliendo lacci e laccioli, il numero dei contagiati è destinato a salire. Impeccabile e scientificamente provato.
Il premier ha detto la road map della ripartenza con tono pacato, evitando di pestare troppo sull’entusiasmo, semmai enfatizzando la necessità di usare buonsenso persino per celebrare i funerali e concedersi una passeggiata in un parco. Ha poi investito le regioni e i sindaci di ulteriori responsabilità: saranno le sentinelle del governo, se i riscontri non dovessero essere in linea con le previsioni, se i dati dovessero peggiorare, allora si tornerebbe indietro.
Ma viene difficile immaginare Fontana, Zaia e Cirip, per citare i presidenti di Lombardia, Veneto e Piemonte, fare retromarcia, pressati come sono dagli industriali e dalle pmi che smaniano per riaccendere le fabbriche. L’Italia ha una settimana per darsi una mossa e presentarsi alla data del 4 maggio pronta a rialzare la testa. Ma la sensazione è che il grosso e il resto debba ancora venire. (LaPresse)