NAPOLI – “Lavali, lavali, lavali col fuoco. Oh Vesuvio, lavali col fuoco”. In tante, troppe curve degli stadi di Serie A, da decenni, ascoltiamo questi ed altri vergognosi cori razzisti nei confronti di Napoli, del Napoli e dei napoletani. In altre occasioni questi beceri canti hanno occupato anche altri spazi della vita sociale e pubblica italiana. E’ triste dover riportare oggi agli onori, anzi ai disonori della cronaca una vicenda già accaduta nel lontano 2015. Gli insulti razzisti e di discriminazione territoriale sono finiti direttamente su Google Maps. Esatto. Inserendo sulla barra di ricerca il vergognoso “lavali col fuoco Google maps”, l’applicazione di geolocalizzazione più usata al mondo restituisce come risultato il Vesuvio.
Il bug
Un bug clamoroso, un errore inspiegabile che ha fatto adirare decine di napoletani. “Un fatto grave ed intollerabile. Sono tra quelli che non relegano queste scelleratezze ad atti di goliardia, oggi più che mai la strategia dell’odio sociale penetra in ogni censo e classe sociale, purtroppo. La public company americana, il motore di ricerca tra i più cliccati al mondo, da cui dipende la ricerca dei luoghi geografici, con gli oltre 88 mila dipendenti in tutto il mondo, non può non controllare quel motore di ricerca localizzativa e lasciar passare una nefandezza del genere. Distrazione, ignoranza, permissivismo? Niente di tutto questo, solo discriminazione. Chiunque ed a qualsiasi titolo lo abbia fatto sta danneggiando la città metropolitana di Napoli. Non basta la immediata rimozione e le solite scuse formali, va proposta un’azione collettiva. Google va portata in Tribunale”, afferma Raffaele Carotenuto, tra i primi a segnalare la questione. La ‘problematica’ si ripropone su tutti i dispositivi: e nella versione mobile di Android e iOs e nella versione desktop da personal computer. Sulla natura della svista si sono interrogati in tanti. c’è chi si è chiesto se fosse un semplice bug e c’è chi invece se fosse un cosiddetto ‘easter egg’, un contenuto che i progettisti o gli sviluppatori di un prodotto nascondono nel prodotto stesso. In questo secondo caso la vicenda assumerebbe caratteristiche più gravi.
Lo sconcerto
Restano attoniti le diverse persone che si sono personalmente cimentate nella ricerca. Lorenzo Fattori, Nazzareno Pecoraro, Francesco Di Maio, Giuseppe Puppo, Vincenzo Di Costanzo, Raffaele Federico e Antonio Prisco condannano il gesto. “E’ aberante come i grandi del web non si siano armati contro l’odio in rete, forse perché fa comodo anche a loro alzare le tensioni sociali. Come giosef Napoli già nel gennaio 2018 abbiamo aderito al “No Hate Speech Movement” Italia lottando per il contrasto al discorso d’odio on line e off line. Per quest’anno sarà ancora di creare contro-narrazioni a questo fenomeno di odio indiscriminato che mette gli ultimi gli uni contro gli altri”, spiega Prisco. Va giù duro anche Fattori: “E’ ridicolo che un’azienda come Google non verifichi gli strafalcioni su un servizio, come Maps, usato in tutto il mondo. Questo, a differenza di come la pensa qualcuno di potente, non è uno sfottò, ma qualcosa di molto più grave”. Raffaele Federico non può credere che sia un semplice errore: “Non capisco perché Google permetta tutto questo. E’ evidente che l’episodio non è solo un bug”. “Qualsiasi sia il motivo per cui Maps rimandi sul Vesuvio digitando queste parole Google ne deve rispondere. Non è la prima volta, tra l’altro, che si verifica questa fattispecie. Un insulto per tutto i napoletani”, aggiunge Anna Starita.
Il bis e la condanna
Insomma la condanna è unanime e la richiesta di spiegazioni non collegate al solo semplice episodio piovono giù dal cielo. Non è la prima volta che si verifica questo episodio. Nel lontano giugno 2015 il Corriere dello Sport puntò i riflettori su una vicenda praticamente identica: scrivendo “lavali col fuoco” Maps indirizzava al Vesuvio. L’azienda si scusò assicurando di risolvere il problema. Problema risolto? No. Perché ad oggi, scrivendo per esteso “Lavali col fuoco google maps” si ripresenta la stessa problematica. E’ d’obbligo segnalare un secondo episodio, meno evidente e più ‘peloso’, ma altrettanto collegato a forme di discriminazione territoriale. Scrivendo “Senti che puzza”, incipit dell’altrettanto celebre quanto schifoso coro, l’applicazione di Google fornisce due risultati: il Cimitero dei colerosi di Poggioreale e l’Ex opg occupato – Je so pazzo. Napoli e i suoi cittadini hanno lo stomaco duro e spesso e volentieri sanno rispondere a questi episodi in maniera esemplare. E se sugli stadi spesso l’ironia è la migliore arma, la condanna ferma e la richiesta di chiarezza e giustizia è d’obbligo.
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