MILANO – “Senza le adeguate misure a supporto delle aziende, al termine del blocco dei licenziamenti si potrebbe creare una drammatica emorragia occupazionale che potrebbe far saltare tra i 300.000 e i 600.000 posti di lavoro. E il contratto di rioccupazione, che dovrebbe trovare spazio nel prossimo decreto ‘sostegni bis’, non basta ad arginare la inevitabile e significativa perdita di occupazione”. È quanto denuncia il Centro studi di Unimpresa, secondo cui le ulteriori posizioni lavorative a rischio si aggiungerebbero ai 945.000 posti già persi durante questo primo anno di pandemia da Covid e porterebbero il totale a oltre 1,5 milioni di posti di lavoro persi.
Secondo i calcoli del Centro studi di Unimpresa, “le nuove norme del decreto ‘sostegni bis’ garantirebbero alle imprese uno sgravio contributivo pari a 4.000 euro per ciascun lavoratore non licenziato dopo il ‘blocco Covid’, cifra che copre circa il 10% del costo medio che una azienda paga per ciascun dipendente, pari, in media, a 39.000 euro l’anno tra retribuzione (diretta, indiretta e differita) e contributi. Costo che sale a 273.000 euro se si prende in considerazione la ‘vita’ media di un lavoratore in una azienda, pari a 7 anni”.
“La speranza è che il pacchetto di misure sul lavoro previsto nel prossimo decreto ristori bis non si traduca in un ennesimo ‘pacco’ per le aziende. Questa è davvero l’ultima occasione per bloccare l’ennesima ed ancora una volta annunciata emorragia post blocco licenziamenti”, commenta il consigliere nazionale di Unimpresa, Giovanni Assi.
“Occorrono interventi a forte impatto sui bilanci delle aziende, chiamate, in questo periodo di grande incertezza, a decidere di mantenere i propri livelli occupazionali non licenziando ed addirittura a provare ad incrementare i propri organici assumendo nuove risorse. Con interventi importanti si potrebbero far rientrare nel mondo di lavoro tutti quei lavoratori espulsi da particolari settori merceologici che più di altri hanno risentito della pandemia, magari investendo su una riconversione ed una formazione degli stessi”, aggiunge Assi.
“Ciò che non si riesce ancora a comprendere è che le aziende, a differenza della politica, hanno una visione a medio/lungo termine e che un imprenditore è abituato a pianificare la propria attività non prendendo decisioni sulla base di un arco temporale di sei mesi: non è pensabile che si assuma “a vita” usufruendo di uno sgravio per pochi mesi”, osserva ancora il consigliere nazionale di Unimpresa.
“Come più volte ribadito – prosegue Unimpresa -, chiediamo la totale decontribuzione per un periodo di 12 mesi (ovvero il tempo necessario per le nostre aziende per ripartire ed avvicinarsi ai livelli pre-covid) per chi deciderà al termine del divieto dei licenziamenti di mantenere in servizio i propri dipendenti e di premiare con una decontribuzione totale di 36 mesi tutte le nuove assunzioni senza vincolarle a condizioni pressoché impossibili (quale l’utopica condizione che un lavoratore di 35 anni non debba mai aver avuto un rapporto di lavoro a tempo indeterminato in tutta la sua vita lavorativa) e soprattutto che siano di immediata attuazione. Ciò perché ancora una volta le aziende si trovano a distanza di oltre cinque mesi in attesa di poter usufruire di agevolazioni (per la verità davvero molto poche) che sulla carta spettano e su cui si faceva affidamento, ma che ancora oggi non sono attuabili con la conseguenza di un esborso finanziario a carico delle nostre imprese”.
“Mai si è avuto nel corso degli ultimi 30 anni uno scenario così povero di misure incentivanti per stimolare le nuove assunzioni ed anzi ci si trova con alcune categorie di lavoratori completamente ignorate da ogni tipo di incentivo (ad esempio gli uomini nella fascia di età 36 – 50 anni). Tutto ciò in un momento in cui bisognerebbe supportare le nostre imprese e i lavoratori con politiche attive, invece l’unica soluzione è la perenne proroga del blocco dei licenziamenti ed un brodino caldo di appena sei mesi”, spiega Assi.
“Senza le adeguate misure a supporto delle aziende, al termine del blocco dei licenziamenti si potrebbe creare una drammatica emorragia occupazionale che potrebbe far saltare tra i 300.000 e i 600.000 posti di lavoro
(LaPresse)