Il governo presieduto da Giorgia Meloni ha mosso i primi passi ed è presto per potere esprimere giudizi se questi non sono orientati da antagonismo politico oppure da interessi di parte. Quello che finora s’è visto depone per le buone intenzioni di cambiamento dichiarate dall’esecutivo ancorché di “buone intenzioni” sia lastricato l’inferno. Quel che emerge sono i gesti simbolici: il decreto che abolisce l’obbligo vaccinale anti Covid per le professioni sanitarie e la cancellazione delle multe irrogate agli inadempienti, ivi compreso il reintegro per quanti furono sospesi o trasferiti ad altri incarichi per le infrazioni commesse in materia. Insomma il virus della SARS2 non spaventa palazzo Chigi né preoccupa la necessità di somministrare la terapia genica, volgarmente ed inopportunamente chiamata “vaccinazione”.
La promessa fatta ai refrattari ed ai contestatori di tale pratica, è stata dunque mantenuta anche sul presupposto che questi ultimi abbiamo votato, in prevalenza, il centrodestra. I prossimi mesi ci diranno se questo decreto sia stato adottato saggiamente dal punto di vista epidemiologico oppure se si rivelerà un azzardo innanzi alla mutazione a cui è soggetto l’agente virale. Nel frattempo, in continuità con il governo Draghi, sono state rinnovate le agevolazioni alle categorie colpite dal caro bollette utilizzando, more solito, la leva della spesa a debito crescente (e il conseguente ulteriore aumento del debito pubblico). L’inflazione, intanto, continua a galoppare verso le due cifre percentuali e la Banca Centrale Europea, ormai satura dei debiti statali, non può più allargare i cordoni della borsa. Per il momento il fenomeno è poco evidenziato dalla stampa e dalla politica, quest’ultima intenta, com’è, a spendere i 200 miliardi di euro ottenuto per il PNRR. L’allegra finanza pubblica, che gratifica i contemporanei addossando il fardello del debito ai posteri (che in quanto tali non votano e non protestano), non sembra una novità nel panorama della politica. L’impressione semmai è che ci si possa avviare lungo la strada già consumata del “vorrei ma non posso”: il ripercorrere, tra lamenti e sospiri, dei buoni propositi irrealizzabili. Alcuni ministeri sembrano occupati da neofiti che poco o nulla sanno del pregresso ed altri da vecchi e consumati marpioni che, invece, ben sanno che, passati i primi cento giorni del governo, tutto continuerà a scorrere come sempre. Il combinato disposto tra protesta di piazza (organizzata dalla sinistra) e crisi economica, unitamente alle fibrillazioni degli alleati di governo potranno tarpare le ali a Giorgia ed ai suoi proponimenti.
Contrariamente a quanto si possa pensare, alla Meloni non serve l’attendismo. A parte l’elettorato storico post missino, molti di quelli che hanno votato per la giovane “pasionaria” della destra italiana lo hanno fatto perché la leader di FdI ha invocato un cambiamento reale e concreto. Opportunisti, affaristi, blocchi sociali composti da clientele a caccia di prebende e favori, sono come i pidocchi nella criniera di un cavallo: quasi consustanziali al potere costituito e non a caso lo sport preferito dagli italioti è quello di correre in soccorso del vincitore chiunque esso sia. Cedere a questa fetta di elettorato costituirebbe un errore esiziale per la premier: una palude cara ai politicanti ed ai doppiogiochisti di mestiere, nella quale l’azione di governo affonderebbe inesorabilmente finendo per somigliare ai governi del passato.
Chiamare alla guida dell’esecutivo l’unico leader che ha scelto di fare opposizione a ben tre compagini governative della trascorsa legislatura, è un dato inequivocabile ed incontrovertibile. Innanzi alla prospettiva di riformare oppure di finire nell’elenco dei governi sbiaditi ed indistinti la scelta non può che essere la prima opzione. La Meloni sa bene che non bastano i piccoli orgogliosi segnali di una rivalutazione di alcuni valori caduti nel dimenticatoio come l’amor di patria, la difesa degli interessi italiani innanzitutto, la disciplina sugli ingressi dei migranti: le stesse dichiarazioni di un atlantismo senza condizioni sono fatti apprezzabili ma non bastano. Occorrono le riforme, il coraggio di cambiare lo Stato sociale (sanità, pensioni, sussidi), la Costituzione, la legge elettorale, tagliare i rami secchi di un vasto statalismo dissipatore ed inefficiente. Questi i capisaldi da realizzare. Nel suo “De l’esprit des lois” Montesquieu cercò di dimostrare come, sotto la diversità degli eventi, la Storia avesse un suo corso naturale e che le leggi dovessero saper leggere ed incartare lo spirito dei tempi. Insomma per fare la nuova frittata occorre rompere le uova dell’Ancien Regime…
*già parlamentare
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