È cortocircuito tra la Lega di lotta e quella di governo. L’europarlamentare Francesca Donato esce dal Carroccio scoperchiando malcontenti e tensioni nel partito di Matteo Salvini. La linea di demarcazione era stata tracciata da Giancarlo Giorgetti – poco prima del Consiglio dei ministri che ha dato il via libera all’estensione dell’obbligo del green pass per i lavoratori della Pa e del settore privato – coagulando attorno alla sua figura l’ala governista che raccoglie i presidenti di Regione leghisti, imprese e aziende del Nord e non pochi tra deputati e senatori. Una dicotomia, sempre negata sia dal leader leghista che dal titolare del Mise, che oggi, tuttavia, si concretizza nelle parole di Donato. No- green pass e no-Euro, la europarlamentare definisce la carta verde liberticida e motiva il suo addio sostenendo che, la sua linea “pur condivisa da larga parte della base, è diventata minoritaria: prevale la posizione dei ministri, con Giancarlo Giorgetti, e dei governatori. Io non mi trovo più a mio agio e tolgo tutti dall’imbarazzo”. Si evoca addirittura la scissione, con la pubblicazione da parte di Repubblica di un dialogo tra Donato e il capogruppo a Strasburgo, Marco Zanni, il quale attacca il segretario troppo compiacente nei confronti del premier Mario Draghi, per poi ipotizzare una unica via d’uscita dal pantano: “Un trauma nella Lega o nel governo; oppure entrambi”. Salvini, al quinto addio nel gruppo di europarlamentari – Vincenzo Sofo, Luisa Regimenti, Andrea Caroppo e Lucia Vuolo, oltre a Donato – replica tagliente: “Chi va via lo ringrazio, lo saluto e tanti auguri”.
E sotto accusa finisce anche la coppia Zanni-Campomenosi, che si difendono: “Fare parte di un partito significa fare gioco di squadra: quando prevalgono i personalismi e le divergenze sono insanabili, bene che le strade si dividano. Proseguiamo il nostro lavoro e non diamo adito alle polemiche di chi, dopo aver messo in cattiva luce la Lega per giustificare suo abbandono, getta discredito sui colleghi. Nel nostro gruppo non c’è spazio per chi agisce in questo modo”. Nessun accenno a perplessità sulla leadership di Salvini, emerse dalle chat, o sulla resistenza allo schieramento conclamato di Giorgetti. E la propensione a mistificare il green pass o invocare la libertà individuale del segretario non piace proprio ai governatori: “Nel primo partito d’Italia e’ normale che ci siano correnti diverse, ma dentro la Lega non c’è spazio per i no vax”, dice Massimiliano Fedriga, che difende il certificato verde come strumento di libertà per non dover tornare a chiudere il paese.
Insomma la frittata è evidente, è stata fatta, e ora Salvini si trova stretto tra due spinte centrifughe: quelle delle diverse anime del partito e quella della rivalità con Giorgia Meloni. Le amministrative si intravedono all’orizzonte e qualora il centrodestra non dovesse ottenere il risultato sperato sotto accusa ci andrebbe la linea dettata da Salvini, la stessa che ha voluto dei civici e non politici a correre sui territori.
Inoltre, seppur si continua a dire che ‘le comunali non hanno un peso politico’, in tutte le segreterie di partito si è consapevoli che sono un termometro. E la sfida con Meloni, se persa, potrebbe anche valere la leadership della coalizione in caso di vittoria alle politiche del 2023. La linea del segretario, però, non si ammorbidisce, tanto per rimarcare il suo essere ‘pungolo’ nell’esecutivo Draghi : “La riforma del catasto rischia di essere un salasso per milioni di famiglie italiane, un danno grave per il mercato immobiliare e un colpo mortale alla ripresa economica post-Covid.
Risultati in totale contraddizione con lo spirito del governo Draghi, visto che il premier in persona aveva spiegato che in questa fase “i soldi non si prendono ma si danno”. Temi cari agli elettori, di cui Salvini si erge a paladino: “L’Italia non ha bisogno di ricette suicide già viste con Monti, dall’aumento delle tasse al ritorno alla Fornero”.
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