“La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso della Procura generale di Napoli, confermando l’assoluzione per l’ex sottosegretario all’Economia, Nicola Cosentino, nel processo cosiddetto «Il Principe e la scheda ballerina», in cui l’ex coordinatore campano di Forza Italia era accusato del reato di tentato impiego di capitali illeciti con l’aggravante mafiosa, in relazione alla realizzazione, a Casal di Principe, di un centro commerciale mai costruito”. Così abbiamo letto ieri su queste stesse colonne, senza che questo, al momento in cui scriviamo, abbia suscitato chissà quali reazioni o commenti. L’esatto contrario di quel che accadde allorquando Cosentino fu arrestato e vituperato nei tg e sulle principali testate nazionali dove fu fatto passare come il regista occulto, il politico di riferimento dei Casalesi, ai quali avrebbe prestato favori (mai identificati!), con la complicità di una rete di favoreggiatori (mai individuati!!), che aveva posto nei punti nevralgici del potere in Campania. Tra questi, si parlava (anche) di deputati e senatori da lui indicati nelle liste di Forza Italia. In quanto componente di quelle stesse liste e successivamente subentrato come deputato, interpellai il ministro della Giustizia per chiedere come mai, innanzi ad una così grave ipotesi collusiva, a carico di parlamentari, non si fosse mai aperta un inchiesta in merito. Una commissione di inchiesta, un chiarimento, che svelasse quali e quanti reati fossero stati commessi per il tramite di favori resi alla camorra da componenti delle Camere. La risposta in Aula fu vergognosamente evasiva ed inconferente creando imbarazzo allo stesso sottosegretario Cosimo Ferri, magistrato, che ebbe l’incarico di rispondere. Eppure ci trovavamo finalmente nella circostanza in cui il più volte ipotizzato nesso di contiguità tra malavita organizzata e poteri dello Stato poteva essere svelato. Un argomento, un’ipotesi, che in quegli anni aveva riempito le pagine dei giornali e portato alla sbarra politici del calibro di Giulio Andreotti, Lillo Mannino, Nicola Mancino e Giorgio Napolitano, quest’ultimo interrogato nella veste di Presidente della Repubblica, dai pm siciliani. La risposta non venne. Niente si mosse se non il lancio dei soliti cenci sporchi raccattati nella pattumiera della maldicenza e della gogna mediatico giudiziaria, prontamente attivata per Nicola Cosentino. Taluni vertici del potere politico e di quello togato, assonanti per gli scopi da raggiungere, ovvero l’eliminazione dalla scena politica del potente coordinatore regionale di Forza Italia, ben sapevano che risposte non ce n’erano. Nessun fatto o riscontro se non quello dei delatori utilizzati dalla Dda in veste di pentiti attendibili. Manovalanza anonima del sottobosco malavitoso, assurti al rango di boss per far peso alle loro dichiarazioni. A nulla valsero in dibattimento gli interrogatori dei veri capiclan arrestati, nel frattempo, che dichiararono di non aver mai avuto niente a che fare con il deputato casertano. Per paradosso fu ritenuto attendibile anche un pentito che aveva dichiarato di aver consegnato soldi a Cosentino e nel contempo si scoprì che in quell’epoca egli era in carcere!! Non bastò l’assoluta inconsistenza probatoria né la mancanza di riscontri fattuali. Nossignore. La giostra del fango doveva fare il suo lavoro per demolire e discreditare colui che aveva ribaltato il potere della sinistra in Campania, conquistando le città metropolitane, le province e la Regione con percentuali di voti altissime. Una turbativa intollerabile per i consolidati maneggi e favori che un area politica, il Pd, scambiava con il potere delle Procure, come lo scandalo Palamara avrebbe portato, in seguito, alla luce. Insomma Cosentino doveva essere “mascariato”, messo fuori dall’agone politico, neutralizzato. La cosa purtroppo è avvenuta e la sentenza di assoluzione resta un atto beffardo, esito riparatore e tardivo di un disegno politico e giudiziario criminoso portato a compimento. Uno dei pubblici ministeri che accusava Cosentino finì poi assessore nella giunta municipale di Napoli del sindaco De Magistris ed un altro di questi, grazie alla notorietà raggiunta, giunse addirittura allo scranno di componente del Consiglio Superiore della Magistratura. Un turbinio di eventi nel mentre Nicola Cosentino marciva dietro le sbarre per oltre quattro anni (e due arresti). Avevo letto tutto il malloppo pervenuto alla Camera inviato dalla Procura, un faldone di ottocento pagine nelle quali Cosentino compariva…nelle ultime quattordici!! Un affresco gigantesco e fantasioso dal quale emergeva il nulla cosmico. Lo difesi in ogni sede, spesso in solitudine, nel regno dell’ipocrisia e dell’ingratitudine umana. Non perché fosse un amico ma perché era innocente e per scongiurare un altro sopruso. Oggi come allora non me ne pento.
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