Ricorre, quest’anno, il cinquecentesimo anniversario dalla morte di Leonardo Da Vinci, il genio italico che tutto il mondo ci invidia ma anche l’artista più grande e carismatico del Rinascimento, quell’aureo periodo durante il quale Firenze rappresentò il punto di riferimento artistico e culturale di tutto il mondo evoluto (un po’ come lo fu l’Atene di Pericle nel V secolo avanti Cristo).
Leonardo fu un’arca di scienza perché si misurò e si confrontò con altri grandi suoi contemporanei, anch’essi passati alla Storia della Umanità.
Per ben comprendere la grandezza dell’autore della “Gioconda”, del “Cenacolo”, della “Battaglia di Anghiari”, occorre infatti scoprire l’unicità straordinaria di una concentrazione senza uguali di personaggi artistici, scientifici e letterati nella cittadina toscana del XV secolo. La stessa nella quale il giovinetto nato ad Anchiano, sobborgo del Comune di Vinci, crebbe e si formò.
Per capirci: nelle strade e nei borghi della città del giglio si incontravano, dialogavano, si biasimavano e, perché no, si “offendevano” tra loro gente del calibro di Michelangelo, Raffaello e Andrea del Verrocchio (maestro di Leonardo). In quella stessa città, magari mentre Brunelleschi realizzava il miracolo mai disvelato del Cupolone e Pier della Francesca girovagava, insieme a Veneziano, per perfezionare la propria arte, ci sarà stato sicuramente un crocchio tra Botticelli, Perugino, Donatello, Filippo Lippi e il figlio Filippino, pittori pratesi famosi per affrescare mirabilmente le chiese. In quell’epoca l’arte si coniugò spesso con le storie piccanti di sesso, di potere e più in generale con le umane passioni. Costumi flagellati dalle cupe, apocalittiche predicazioni di un frate venuto da Ferrara: Girolamo Savonarola.
Ecco, Leonardo da Vinci si forgiò in questa fucina incandescente, autentico crogiuolo di saperi e di cultura che, più di tutti, seppe alimentarne il suo genio universale. Egli fu unico al mondo: il principe dei principi dell’arte, il più eclettico, il più poliedrico di una fantastica, irripetibile, schiera di straordinari umanisti. Figure talmente eccezionali che si corre il rischio di lasciarne ingiustamente fuori qualcuna altrettanto eccezionale, come, ad esempio, Pico della Mirandola, Poliziano, Marsilio Ficino, l’elegante e raffinato Guicciardini o il maestro delle scienze politiche Niccolò Machiavelli.
Pensate: il figlio del notaio ser Piero da Vinci li superò tutti in bravura. Ed è appunto il termine di comparazione con gli altri protagonisti del Rinascimento a dare l’esatta dimensione della grandezza di Leonardo che fu poliedrico al punto tale da potersi definire, in assoluto, il primo scienziato italiano nel senso pieno del termine. Egli fu ingegnere, progettò difese inespugnabili e fu sperimentatore delle sue stesse invenzioni. Gettò le basi del volo con l’ala “inventando” l’elicottero, ma seppe creare anche terribili macchine da guerra come il lanciafiamme. Fu pittore sublime, dalla “Gioconda” alla straordinaria ed imitatissima “Ultima Cena”, ma anche studioso provetto di anatomia comparata. E’ suo, non a caso, il celebre “Uomo di Vitruvio” disegno a penna e inchiostro che fissa su carta le perfette proporzioni del corpo umano.
Altre opere, meno conosciute, completano la lunga lista dei suoi capolavori e non c’è museo, oggi, al mondo, nel quale l’opera di Leonardo non sia la principale delle attrazioni offerte al visitatore. Celebrarne l’anniversario della morte, di questi tempi, non rappresenta solo un atto di devozione e rispetto ma, a ben guardare, anche un monito per quel che di geniale l’Italia è riuscita a dissipare nel corsi dei secoli. Impossibile immaginare, a breve, un nuovo Rinascimento in una Nazione tanto decaduta dal punto di vista culturale, dove per anni la scuola dell’istruzione è stata soppiantata dalla scuola dell’accoglienza e della cancellazione del merito e del valore. Se in giro cova odio sociale è perché la diffusa mediocrità culturale non porta in dote l’ammirazione per i capaci ma la bassa invidia degli inetti.
*ex parlamentare