NAPOLI – Scontri, divisioni, espulsioni, addii sono all’ordine del giorno da quando il Movimento 5 Stelle, abituato ad essere forza di opposizione, si è trasformato in forza politica, ‘azionista di maggioranza’ del governo giallorosso. L’impronta grillina del Conte due è visibile nel modo in cui sta gestendo la pandemia esonerando, in buona parte, il Parlamento dallo svolgimento delle sue prerogative. Un aspetto che. tra i tanti, rileva chi quel modo di fare lo conosce bene: l’ex ministro dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca Lorenzo Fioramonti, attualmente deputato del Gruppo Misto dopo anni di militanza grillina.
Onorevole, cominciamo dall’attualità. Come giudica gli ultimi provvedimenti del governo alla vigilia dell’avvio della Fase 2?
La cosa più importante è dare indicazioni chiare. C’è il rischio che i Dpcm, così com’è già successo con i precedenti, generino confusione nelle interpretazioni che vengono lasciate ai singoli esecutori. Insisto molto sugli effetti trasversali e chiedo, ad esempio: cosa accade se la scuola non riapre e i genitori devono tornare al lavoro? La vita delle persone è piena di dinamiche e la riapertura a singhiozzo può creare diversi cortocircuiti che, invece, sarebbe bene evitare.
Sul fronte scuola, in particolare, lei ha assunto una posizione critica rispetto alle decisioni del governo. Dal suo punto di vista di cosa non si sta tenendo conto?
Si dice che la scuola riaprirà a settembre, poi leggo che molti virologi dubitano che si possa ripartire. E’ importante, visto che saremo gli unici in Europa a riaprire a settembre, che si inizi bene. Sono convinto che dobbiamo ascoltare gli scienziati considerato che non si potrà gestire la scuola, intesa come i grandi plessi a cui siamo abituati, ma serve organizzarsi diversamente pensando al riutilizzo di scuole che erano state chiuse, a creare spazi anche esterni per permettere agli studenti di ritrovarsi in piccoli numeri e non in classi pollaio. Per fare questa operazione è chiaro che servirà aumentare il personale in maniera significativa. Sono stato io, quando ero ministro, a preparare i concorsi, ma i posti oggi più che mai, a causa della pandemia, risultano insufficienti, mentre se vorremo aprire le piccole scuole bisognerà aumentare il numero di docenti. Non c’è nulla di male nel voler bandire un concorso straordinario e ‘velocizzato’. Ma farlo con circa 80mila candidati ad agosto è impensabile. Noi avremo difficoltà a prendere un caffè al bar, a cenare con gli amici e ad andare in spiaggia, mi stupisce che si pensi di fare un concorso con 80mila persone in una stanza. Data la situazione eccezionale, ha più senso tornare all’idea iniziale di una presa di servizio per tutti i precari storici e poi, a fine anno sottoporli ad una prova selettiva. Chi non la supera non ha il ruolo. Dopo un anno dovrebbe essere più facile e meno rischioso. Infine, considerata la mole di investimenti che ci apprestiamo a fare, sarebbe il caso che la ministra Azzolina battesse i pugni sul tavolo e chiedesse il posto per almeno 50mila persone per il concorso ordinario e altrettanti per quello straordinario. In questo modo si assorbirebbero quasi tutti i precari storici.
Il Parlamento è stato fino ad ora tenuto fuori dalle decisioni del governo, per contro l’esecutivo ha deciso di affidarsi a circa 470 esperti che compongono le diverse task force. Qual è il senso di questa operazione?
Non c’è nulla di male nell’ascoltare gli esperti e seguire i consigli delle task force considerato che alcuni di noi (parlamentari, ndr) non sono esperti di tutto, alcuni sono esperti di niente e si trovano in Parlamento perché i cittadini hanno deciso di conferire loro il mandato. E’ giusto che il governo si avvalga degli esperti, ma le decisioni le deve prendere il Parlamento. Purtroppo in Italia la centralità del Parlamento è stata ceduta a favore dell’accentramento del potere nelle mani dell’esecutivo. Si è chiesto il lavoro agile a tutti, agli insegnanti la didattica a distanza, ma non al Parlamento che poteva tranquillamente procedere con votazioni a distanza. C’è stato poco impegno da parte delle Camere e indisponibilità da parte del governo. Il problema è questo.
Passiamo alle dinamiche di partito. Negli ultimi giorni nuove espulsioni dal Movimento 5 Stelle e l’adesione al suo gruppo della deputata Bologna. Cosa accade nella sua ex ‘casa’?
Si parla da tempo di una riforma interna, di una riorganizzazione, ma non è mai cambiato nulla. Ho vissuto per due anni questa idea del cambiamento che stava per avvenire, ma nei fatti si buttava sempre la palla nell’altra metà campo.
In che senso?
La disorganizzazione interna non può essere risolta. Continueremo a vedere rinunce, espulsioni e abbandoni. Nell’insieme in nulla il Movimento si è modificato o è cambiato e chissà se lo farà mai, ma ne dubito.
Lei è stato tra i primi a decidere di andar via: si è mai pentito di tale decisione? Qual è la differenza tra l’appartenere al M5S e far parte invece del Gruppo Misto?
Il Gruppo Misto è una realtà di fatto, siamo singoli o in piccoli gruppi, io collaboro con molti parlamentari che sono in altri gruppi e sono disposti a lavorare nel merito delle cose. Ora posso dire e fare quello che voglio.
Ora?
Sì, nel Movimento non esiste questa libertà, una frase o un’intervista non concordata scatenano la ritorsione del team della comunicazione pentastellata.
Questo per i parlamentari, ma era così anche da ministro?
Anche come ministro ho vissuto il rimbrotto del ceto dirigente del mio partito. Tanti rimpiangono il mio ruolo al ministero, ma nei fatti io sono stato costantemente ripreso e mai sostenuto. Essere del Movimento 5 Stelle è come essere dipendenti di qualcun altro, non sei più un rappresentante delle istanze dei territori e degli attivisti, eletto per realizzare il programma in cui credi.
Se è così, sembra che abbia resistito molto all’interno del Movimento…
All’inizio sembra inevitabile e giusta una sorta di disciplina interna per evitare di creare confusione. Ma la responsabilità personale comporta avere libertà di manovra, invece io a volte dovevo giustificare anche decisioni non mie.