NAPOLI (Achille Talarico) – Le istituzioni lo hanno ripetuto più volte: dalle nostre parti non esiste una “emergenza violenza giovanile”. Perchè non c’è o perchè l’emergenza è diventata endemica? Discutiamo di questo, ma anche di tanto altro, con Maria Luisa Iavarone, fino al 2017 ‘solo’ docente ordinario di Pedagogia all’Università Federico II, dal 2017 in poi anche, e soprattutto, “la mamma di Arturo”. Suo figlio, ancora minorenne, fu accoltellato quasi a morte in via Foria da una babygang: da quel momento ha lottato in prima linea per arginare un fenomeno sempre più dilagante che nel tempo ha mietuto troppe vittime. Francesco Pio Maimone, Gennaro Leone, Giovan Battista Cutolo, sono nomi che le cronache hanno scolpito col sangue nella memoria di tutti noi, più sfortunati di Arturo.
Tra pochi giorni sarà il triste anniversario dell’omicidio di Gio Gió. A suo avviso nel complesso è possibile parlare di emergenza e di allarme sulla violenza giovanile?
Certamente a distanza di un anno dalla tragica scomparsa di Giovanbattista Cutolo si riapre il dibattito mai sopito sull’emergenza criminalità a Napoli. Un episodio che ha scosso le coscienze collettive e per il quale purtroppo una soluzione radicale ancora stenta a trovarsi. L’emergenza giovanile è di fatto una urgenza che attende una soluzione di sistema che non si ferma a misure repressive più rigorose di cui certamente c’è bisogno.
Ha avuto modo di confrontarsi con la mamma di Gio Gio’ ?
Conosco bene Daniela Di Maggio che si è resa nota per il suo coraggio e la sua determinazione che spesso l’hanno esposta ad ingenerosi commenti. Io posso comprendere fino in fondo Daniela che è una donna vulnerata e che sperimenta tutti i giorni il dolore di una perdita insopportabilmente ingiusta. Vorrei dire a tutte le persone che le muovono incomprensibili critiche che si deve avere immenso rispetto nei riguardi di chi come lei ha avuto il coraggio di esporsi e di mettere generosamente a disposizione dei giovani il senso della sua esperienza.
A distanza di sette anni dall’aggressione a suo figlio Arturo, cosa e quanto è stato fatto in termini di prevenzione e contrasto ai fenomeni criminosi e sociali legati alle baby gang e alla violenza giovanile? A proposito, come sta Arturo e cosa fa oggi?
Quel drammatico 18 dicembre del 2017 è per me lontano e vicinissimo al tempo stesso. L’angoscia di quei giorni mi è rimasta addosso, come le cicatrici sono ancora sulla pelle di Arturo. Bisogna ricordare, ma anche sforzarsi di dimenticare. Certamente il “Decreto Caivano” è stato espressione di grande attenzione da parte della politica e delle Istituzioni, ma molto ancora bisogna continuare a fare. Arturo ha provato a dimenticare anche impegnandosi nello studio, tra poche settimane discuterà presso la Federico II la tesi della sua laurea Magistrale. Ma il ricordo di quello che gli è capitato è ovviamente incancellabile.
Ritiene che i contenuti violenti e porno che girano sui social, nonché certe fiction e brani musicali, tra i ragazzi contribuiscano ad elevare i livelli di violenza giovanile? Che pensa invece eventualmente di censurare questi contenuti?
È evidente che i social e le immagini video che oramai sempre più spesso accompagnano episodi di violenza rappresentano una forma di spettacolarizzazione di gesta criminali. Video che documentano incursioni violente, che servono ad alimentare narrazioni che come “trofei” espongono forme di prevaricazione e dominanza in danno di più deboli. I ragazzi ricercano sui social video e filmati per tentare di “provare” emozioni che “non sentono” nella realtà fino a perdere il gusto dell’esistenza. Tutto questo è espressione di un forte disorientamento.
Ci indica dei modelli positivi da seguire per i ragazzi?
Non è facile rispondere a questa domanda. I modelli sono innanzitutto quelli più semplici che si ritrovano in famiglia a cominciare dai genitori, dai nonni, da un fratello maggiore. Ma se questo, ad esempio, è già stato in carcere o ruba e spaccia per abitudine non possiamo poi pretendere tutto dalla scuola o dalla politica.
Il ruolo di insegnanti e dirigenti scolastici. È una volontà precisa di scaricare le responsabilità solo sulle famiglie?
La famiglia è sicuramente la prima agenzia educativa ma non è la sola: la scuola e la comunità sono tasselli essenziali del sistema formativo civile. La formazione di un cittadino non scaturisce dall’impegno di ciascuna di queste agenzie, semmai dal prodotto delle loro relazioni. Ma se l’una non riconosce valore e rispetto all’altra, chi ne paga le conseguenze è sempre il minore.
Fino a quanto grande può diventare il ‘pugno duro’ da usare contro i ragazzi ? E quale invece una ‘punizione’ esemplare per i genitori?
Credo che espressioni come “pugno duro” o “tolleranza zero” siamo solo comunicativamente propagandistiche. Non possiamo permetterci di “fare propaganda”! Su questione così serie bisogna essere semplicemente seri. Il rigore delle misure repressive e la capacità di seguire e perseguire le famiglie gravemente negligenti è questione di metodo e non di proclami o di slogan.
In chiusura: la consuetudine a comportamenti illegali di molti giovani come può essere arginata?
Arginare il crimine è un mix complesso di azioni e strategie che vanno dalla prevenzione educativa primaria fatta con le famiglie e i territori, al contrasto del degrado, dell’ignoranza e della dispersione scolastica e infine a politiche di accompagnamento al lavoro, alla formazione professionale e alla lotta all’illegalità e all’economie sommerse. Un insieme di azioni combinate e integrate capaci di restituire ai giovani la speranza e la fiducia nel loro futuro.
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