Il ragazzo della curva B torna a casa. Il 29 giugno Nino D’Angelo sarà allo stadio Diego Armando Maradona per uno spettacolo in cui proporrà i brani che lo hanno portato al successo negli anni ’80. E che gli consentirono di far breccia nel muro di pregiudizi che allora impediva a molti “terroni” di affermarsi a livello nazionale. Nella locandina dell’evento, il titolo “I miei meravigliosi anni ‘80” è sormontato dalla fotografia di Nino da giovane con l’inconfondibile caschetto biondo (un’idea del parrucchiere del suo rione, a San Pietro a Patierno).
Oggi ha quasi 67 anni d’età e oltre 50 di carriera artistica. Ne è passata di acqua sotto i ponti, da quando si divideva tra le prime esibizioni ai matrimoni e i lavori occasionali, agli inizi degli anni ‘70. La lunga gavetta, i primi successi, l’amore del pubblico, il cinema, i figli e la perdita dei genitori, l’“esilio” da Napoli per ragioni di sicurezza, dopo gli spari contro la sua casa, la depressione, la svolta artistica e la folgorazione per la world music, l’apprezzamento di Miles Davis, le partecipazioni a Sanremo, l’opera che Jorit gli ha dedicato. Un lungo percorso nel quale il “poeta che non sa parlare“ non ha mai voluto rinunciare alla sua missione di voce del popolo, di cantore dell’amore e dell’umanità della gente umile, quella che lo ha sempre sostenuto e incoraggiato.
Oggi si racconta a Cronache, annunciando i temi principali dello spettacolo all’ex San Paolo e tirando le somme della sua carriera. Cosa dobbiamo aspettarci il 29 giugno?
Saranno quasi tutti brani di quel periodo. Poi come sempre ci sono anche quelli che vogliono sentire qualcosa di più recente, come Senza giacca e cravatta. Ma volevo celebrare quel periodo perché è stato allora che la mia vita è cambiata. E’ cambiata la canzone napoletana. Allora si cantavano le canzoni di malavita, c’erano le sceneggiate. Io ho cambiato tutto con brani come Nu jeans e ’na maglietta. Questo spettacolo sarà un omaggio a me stesso e a Napoli, un momento importante della mia carriera ma anche una forma di ringraziamento alla mia città per avermi regalato un posto nella storia della musica. Se non fosse successo tutto questo non avrei potuto aiutare mia madre e comprare una casa. Allo stadio ci sono già stato ma in curva B, per il concerto 6.0. Stavolta farò un vero spettacolo. Per me è emozionante. Andavo lì con mio nonno a vedere le partite. Stavolta sarà pieno di amici che vengono da ogni parte. Ma già il fatto che canterò davanti a uno stadio pieno mi fa pensare di essere un uomo molto fortunato. Sono riuscito a fare cose straordinarie e oggi, a 67 anni, Napoli mi ama e non solo per le canzoni. Io ho il sangue napoletano e solo noi napoletani sappiamo quello che abbiamo subito. Oggi camminiamo a testa alta e sappiamo di essere i più forti del mondo se ci mettiamo insieme.
Torni nello stadio in cui le tue canzoni sono state cantate insieme a classici come “’O Surdato ‘nnammurato”. Ma oggi la squadra sta vivendo un momento difficile.
Questo mi è molto dispiaciuto. Avremmo potuto cavalcare la gioia per lo scudetto. Purtroppo raggiungere il successo è più facile che gestirlo.
Tu ne sai qualcosa, hai attraversato un periodo di depressione. Come si fa a superarla?
Prima di tutto bisogna riconoscere che è una malattia, una situazione patologica. Non si deve ignorare il problema o dire a chi ne è affetto che non è niente. È una malattia vera e propria, per cui ci si deve rivolgere a un medico, a un professionista che sa come va affrontata.
Quale musica ascoltavi quando è iniziato tutto e quale musica ascolti oggi?
All’inizio erano Sergio Bruni e Mario Merola i miei riferimenti. Merola disse che ero il suo erede. Io però volevo parlare anche ai giovani e inventai il pop napoletano. Ascoltavo anche Gli alunni del sole, amavo la voce di Paolo Morelli. Sono riusciti a risvegliare qualcosa dentro di me. Ma c’è una cosa che non è mai cambiata. Mi piace raccontare le storie della Napoli popolare. Mi sento un uomo del popolo ancora oggi. E sono fedele ad alcuni valori, come quelli dell’amicizia e della famiglia. Quest’ultimo, in particolare, credo che sia alla base di tutto. In ambito musicale, poi, nel corso degli anni sono stato influenzato anche da altri artisti. Mi piacevano i Beatles, i Rolling Stones e poi mi sono innamorato della world music. Peter Gabriel è diventato un punto di riferimento.
Tu hai detto che oggi il napoletano “si porta”. Ma cosa ne pensi di come Napoli è rappresentata in tv, a Sanremo e al cinema? È davvero una città che ha finalmente voce?
Oggi la musica napoletana è molto cambiata. Io credo di essere stato uno degli ultimi interpreti della canzone napoletana vera. Già all’epoca del caschetto biondo lo ero di meno. Rispetto tutti i generi musicali ma credo che oggi la canzone sia più suono che poesia. Più rime che metafore. Io mi definisco un poeta che non sa parlare. La poesia è qualcosa che sta dentro, non si vede. Ma la più bella poesia l’ha scritta Dio, ed è la vita. Certo, apprezzo il fatto che oggi gli artisti napoletani incontrino meno ostacoli a livello nazionale. In questo però credo di aver fatto da apripista. Ho preso molti pugni e sono contento di averli presi, perché ho aperto la strada a molti giovani. Certo, forse negli anni ’80 ero troppo criticato così come oggi forse sono troppo osannato. Più in generale, sono contento del fatto che Napoli stia vivendo un momento bellissimo. Oggi è il centro del mondo, i social hanno fatto scoprire a tutti l’intelligenza dei napoletani. E poi è bello sentir parlare di bellezza della città, che è piena di turisti. Se mi chiedessero dove voglio rinascere sceglierei di nuovo questa città.
Da questa città, però, sei stato costretto ad andartene. Sceglieresti ancora di vivere a Napoli?
Fu una brutta esperienza e allora avevo un po’ paura di dirlo in giro. Mi sono lasciato tutto alle spalle. Ma ancora oggi se c’è da lottare per il futuro della città lo faccio con piacere. A Napoli c’è il male come in tutte le città del mondo, però sono convinto che il bene è più forte e alla fine vince sempre.
Un giovane musicista, Giovanbattista Cutolo, è morto lo scorso anno, vittima del lato oscuro di questa città.
Quella vicenda mi ha fatto molto male, io potrei essere il padre di entrambi i ragazzi coinvolti. Secondo me il ruolo dei genitori è fondamentale e bisogna puntare sul valore della famiglia, che sul piano dell’educazione è più importante della scuola. Ovviamente quando accadono episodi così gravi è giusto che ci sia un processo e che chi ha sbagliato paghi. Lo Stato deve intervenire perché episodi del genere non si ripetano, creando le condizioni per cui tutti abbiano le stesse possibilità e vivano in una società sana. E poi ci vogliono leggi fatte bene e un sistema giustizia che funzioni. Quanto alla pena, a volte fa anche crescere. Noi siamo in una regione di straordinaria bellezza, ma che ha enormi problemi, come quello della disoccupazione. Credo che la politica faccia troppo poco.