LONDRA – Per Theresa May i guai non finiscono più. La logorante trattativa con l’Ue prosegue e contemporaneamente la premier britannica deve affrontare la bufera interna al suo governo. Dopo l’annullamento del voto per la Brexit, che era previsto ieri ai Comuni, i tories ribelli hanno raggiunto il numero di voti necessari per una mozione di sfiducia.
Arrivate le fatidiche 48 lettere per la richiesta di sfiducia
Un annuncio che arriva da Graham Brady, presidente della commissione 1922 alla quale sono state consegnate almeno 48 lettere in cui si chiede la calendarizzazione del voto di sfiducia. Il voto avverrà questa sera, ha reso noto ancora Brady, tra le 6 e le 8. Ed i voti saranno “immediatamente contati ed i risultati annunciati al più presto possibile”. La sfida alla leadership da parte dei falchi brexiteer più oltranzisti si accompagna a una mezza rissa anche fra il governo e lo speaker della Camera dei Comuni, John Bercow, sospettato di non essere abbastanza imparziale dalla ministra Andrea Leadsom.
Le opposizioni: “Basta rinvii”
Le opposizioni – pur divise sui tempi d’una mozione di sfiducia contro l’esecutivo e sulla scommessa preferenziale fra l’opzione delle elezioni anticipate e quella di un referendum bis come alternativa al caos – tuonano contro la vaghezza delle rassicurazioni sulla scadenza limite del 21 gennaio per un nuovo voto di ratifica dell’accordo. “Basta rinvii e trucchi – intima da Westminster il leader laburista Jeremy Corbyn –, il primo ministro permetta al Parlamento di votare o se ne vada”.
La May promette battaglia
“Mi opporrò a quel voto con tutto quello che ho” ha commentato May. Arrivata ieri nel pomeriggio a Bruxelles a conclusione di una girandola di incontri, la premier britannica ha incassato qualche mano tesa e manifestazioni di comprensione, ma anche le preventivate dichiarazioni ufficiali di fermezza sul fatto che l’intesa sottoscritta “non si tocca”. “È l’unica sul tavolo”, come ha ribadito il presidente della Commissione, Jean-Claude Juncker. E non è rinegoziabile, come le ha ricordato faccia a faccia la cancelliera Merkel, all’unisono con altri. “Vogliamo aiutare, la questione è come”, ha concesso il presidente del Consiglio Europeo, Donald Tusk, sforzandosi di lasciare aperto un mezzo spiraglio, dopo un confronto con l’ospite d’oltremanica definito peraltro “franco”. Aggettivo che in diplomazia si usa quando la quadratura del cerchio non c’è.
Manca la quadra con l’Ue
O almeno non c’è ancora, a dar retta a May la quale ai giornalisti di casa sua spiega che i nuovi colloqui sono “solo agli inizi”, giurando che la volontà di venirsi incontro “è condivisa” dagli interlocutori e insistendo sull’esigenza di una qualche “rassicurazione ulteriore” per allontanare anche la sola ipotesi teorica d’entrata in vigore del backstop. Il meccanismo vincolante di salvaguardia del confine senza barriere fra Irlanda e Irlanda del Nord visto come fumo negli occhi da molti deputati della lacerata maggioranza parlamentare britannica.
La strategia del prendere tempo
Le indiscrezioni più ottimistiche fanno riferimento a un possibile documento allegato, giuridicamente spendibile, che garantisca Londra sulla natura “temporanea” di questo strumento. Un salvagente cruciale -e chissà poi se sufficiente – per la signora di Downing Street, che oggi avuto dovrebbe sondare al riguardo a Dublino il premier irlandese Leo Varadkar. Parte in causa e titolare dell’ultima parola sulla materia in sede Ue.
Governo appeso a un filo
“Resto qui pronta a portare a termine il mio lavoro” ha aggiunto la May annunciando di aver cancellato il suo viaggio oggi a Dublino. Ma la verità è che tutto resta appeso a un filo. Il suo governo e l’accordo su Brexit. Tanto da far tornare all’orizzonte l’ombra del ‘no deal’. Un traumatico divorzio senz’accordo che fa paura a molti.