Maddaloni, i giudici: il carabiniere Cioffi avvisò due ras di una retata

MADDALONI – Il carabiniere Lazzaro Cioffi avrebbe avvisato due ras di una retata poco prima che scattassero gli arresti. Questo il motivo principale per cui la Cassazione ha respinto la richiesta di scarcerazione avanzata da Cioffi e dalla moglie Emilia D’Albenzio, nipote del boss Clemente. La donna, secondo quanto hanno notato i giudici del Palazzaccio, avrebbe continuato a ricevere visite e a fare telefonate. Nonostante fosse agli arresti domiciliari (misura cautelare poi aggravata e trasformata nella detenzione in carcere). Mentre il carabiniere avrebbe ospitato in casa sua Pasquale Fucito (capo del gruppo criminale che gestiva lo spaccio di droga nella zona di Caivano) e Raffaele Garofalo.
Il pronunciamento
La sera prima dell’esecuzione dell’ordinanza cautelare, scrivono i giudici, Fucito e Garofalo erano a cas di Cioffi. Che “non appena ricevuta la telefonata dal proprio comando, ne informava immediatamente i due, mettendoli sull’avviso circa la possibilità che si trattasse di arresti imminenti, come poi effettivamente verificatosi”.
Quindi, “coerentemente il Tribunale ha ritenuto ininfluente sia la sospensione dal servizio che la domanda di pensionamento avanzata dal Cioffi. Essendo l’una connessa al presidio cautelare e l’altra ancora in corso di valutazione”.
“Condotte infedeli”
Queste “condotte infedeli” di Cioffi “sono emerse dalle intercettazioni attivate nel periodo in cui era in congedo per motivi di salute. Intercettazioni durate solo tre mesi perché le operazioni furono interrotte, essendo emerso che il Cioffi aveva appreso delle indagini ed aveva avvertito la moglie del Fucito. Già tale circostanza sconfessa l’asserita mancanza di prova della violazione dei doveri d’ufficio e della rivelazione di attività di indagine riservate al Fucito. Inoltre il ricorrente, pur essendo in congedo, si era attivato per interferire in una perquisizione in corso per evitare il sequestro di 18mila euro. Soldi dovuti al Fucito per una pregressa cessione di droga, che proprio per tale motivo gli aveva chiesto di intervenire.
Il confidente
Cioffi sostiene che Fucito fosse un suo “confidente”. Ma per i magistrati questa tesi viene “smentita dalla chiarezza dei colloqui intercettati. Smentita dalle precise e convergenti dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, che nelle prime trovano riscontro, nonché dall’anomalia del rapporto tra il ricorrente ed il Fucito, che travalica i limiti del rapporto confidenziale”. Ad esempio, il figlio di Fucito fu affidato alla moglie di Cioffi, che faceva da babysitter.

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