WASHINGTON – Frode fiscale e bancaria. In tutto 8 i capi di imputazione che hanno portato alla condanna a 3 anni e 11 mesi per Paul Manafort. La sentenza per il 69enne ex capo della campagna elettorale di Donald Trump è stata emessa da un giudice federale della Virginia nell’ambito di un processo scaturito dal Russiagate. Il caso, tuttavia, non aveva implicazioni di collusione con Mosca.
I capi di imputazione attribuiti a Paul Manafort
Per Manafort i capi di imputazione sono davvero importanti. È infatti stato accusato di aver occultato i lauti pagamenti per il suo lavoro di lobbista, peraltro non registrato, svolto in Ucraina oltre che per aver gonfiato il valore dei suoi ‘asset’ nelle richieste di prestiti. Si è trattato di una sentenza dura ma più lieve rispetto a quella che ci si poteva aspettare. L’uomo, infatti, giunto in tribunale su una sedia a rotelle e indossando l’uniforme verde dei detenuti, rischiava addirittura da 19 a 24 anni di carcere. Nonostante lo ‘sconto’, quella inflitta all’ex capo della campagna elettorale dell’attuale presidente degli Stati Uniti rappresenta in ogni caso la pena più alta fino a questo momento comminata nei processi generati dall’inchiesta del procuratore speciale del Russiagate, vale a dire Robert Muller.
Pena più lieve rispetto all’attesa
Sorprende quanto accaduto perché il capo della campagna del tycoon aveva chiesto clemenza. Ma il giudice, sin da subito, era sembrato tutt’altro che incline a concederla avendo rimproverato Manafort per non essersi pentito e non essersi assunto la responsabilità dei suoi reati. Per il 69enne potrebbe comunque non essere finita qui. Su di lui, infatti, pende un’ulteriore condanna (il 13 marzo la sentenza) che potrà arrivare a 10 anni e che riguarda un procedimento distinto. In questo caso Manafort si è dichiarato colpevole di cospirazione contro gli Stati Uniti. Oltre che ostruzione della giustizia, violando però l’accordo di collaborazione con dichiarazioni fasulle.
