Ndrangheta, acquistava semi di canapa sul web per farli coltivare dai migranti: si pente il figlio del boss Mancuso

Era già in carcere per estorsione: ora Emanuele Mancuso dovrà rispondere di associazione a delinquere con altre 17 persone.

VIBO VALENTIA – L’ultima trovata commerciale dei clan calabresi per il narcotraffico: è un mix di droni, web e migranti. E’ su internet che Emanuele Mancuso, figlio trentenne del boss Pantaleone, navigava alla ricerca dei migliori semini di canapa. Formalmente tutto regolare, perché i semi possono essere comprati per collezionismo. Peccato però che il giovane rampollo della cosca li abbia utilizzati per far crescere 26mila piante di marijuana in enormi piantagioni sparse nel Vibonese.

Le indagini

Lo hanno scoperto gli investigatori della questura di Vibo Valentia. Con il coordinamento della Dda di Catanzaro le forze dell’ordine hanno ricostruito l’intera filiera di produzione della cannabis, riuscendo ad identificare tutti i personaggi coinvolti. A inventarsi il nuovo sistema è stato Emanuele Mancuso, classe 1988, già in carcere per estorsione. Adesso ha iniziato un percorso di collaborazione con la polizia. E’ accusato anche di associazione finalizzata alla produzione e al traffico di stupefacenti.

Arrestate a vario titolo altre 17 persone, 21 gli indagati

Insieme a lui sono finite in manette 17 persone. Sono accusate a vario titolo di aver fatto parte della filiera. Altre altre 21 risultano indagate a piede libero. Perquisite e sequestrate le 18 sedi di una società specializzata nella vendita di semi di canapa indiana, sparpagliate fra Alessandria, Brescia, Caltanissetta, Catanzaro, Chieti Genova, Imperia, Lecce, Milano, Napoli, Salerno e Savona.

Il sistema di coltivazione e supervisione

È da lì che arrivavano i semi poi impiegati in giganteschi campi nascosti fra Nicotera, Ioppolo e Capistrano. Qui venivano coltivate le piante di marijuana in grado di produrre oltre 2 milioni di dosi di ‘erba’. Ad occuparsi di cura, gestione e irrigazione delle piantagioni erano i braccianti stranieri, molti dei quali provenienti dalla tendopoli di San Ferdinando. Si tratta di una novità per i clan calabresi, che generalmente hanno sempre demandato alla propria bassa manovalanza la supervisione delle coltivazioni. Un incarico non particolarmente prestigioso, ma penalmente rischioso, per questo affidato a braccianti senza diritti e talvolta persino senza documenti. Mancuso e i suoi però, sebbene non fisicamente presenti, vigilavano sulle loro preziose coltivazioni, grazie ad alcuni droni che facevano volare per controllare sia i lavoratori sia le colture.

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