ROMA – Il coraggio di osare, di scontrarsi, di diventare impopolare pur di raggiungere l’obiettivo. Sergio Marchionne, le sue condizioni di salute sono gravissime in queste ore, è stato per tutta la vita un manager vincente e controverso. Detestato da una parte dei sindacati, inviso all’opinione pubblica per il fatto di pagare le tasse all’estero, celebrato dai mercati e dalla grande industria per il miracolo del rilancio di una Fiat che pochi anni fa era sull’orlo del fallimento.
Le lauree e la scalata fino al Lingotto
Nato a Chieti nel 1952, emigrato da adolescente con la sua famiglia in Canada si è laureato in filosofia prima, in giurisprudenza poi. Il master conseguito in Business Administration è la svolta. Negli anni Ottanta comincia a lavorare dirigente aziendale e la sua scalata è inarrestabile. I risultati in termini di risanamento e gestione economica sono eccellenti e, incarico dopo incarico, arriva alla guida, nel 2002, della Sgs di Ginevra come amministratore delegato. L’impresa esce dal passivo nel giro di due anni. Successivamente ne diventerà presidente. La svolta definitiva arriva nel 2003, quando viene nominato da Umberto Agnelli nel Consiglio d’amministrazione di Fiat.
Il risanamento della Fiat
Dopo la morte del fratello dell’Avvocato, assume la carica di amministratore delegato. Il momento per il Lingotto è nerissimo. Il fallimento è all’orizzonte. La produzione di nuove auto di successo come la Grande Punto e la Nuova 500, però, invertono la tendenza. Così gli appetiti dei gruppi internazionali che volevano inglobare la Fiat si spengono. E quando arrivi la crisi economica mondiale, la holding torinese è pronta alla riscossa. E passa al contrattatto.
L’acquisizione di Chrysler
Marchionne, mentre il mondo si arrocca per difendere posizioni e interessi a rischio, decide di osare. E, dopo una lunga trattativa, acquisisce il 20% di Chrysler. Nel giro di poco tempo la sua strategia si rivela vincente. L’azienda americana risale e ripaga il debito che l’ad Fiat aveva contratto con i governi degli Stati Uniti e del Canada. E nel 2014 la scalata alle quote del gruppo è completa. Chrysler diventa di Fiat. E paga dividendi.
I tagli agli stabilimenti italiani e la furia dei sindacati
La spending review operata nei confronti degli stabilimenti italiani, però, è in netta controtendenza con la politica espansiva del Lingotto. Viene decisa la chiusura dello stabilimento di Termini Imerese, passato definitivamente di mano nel 2015, e il netto ridimensionamento di quello di Pomigliano d’Arco. Tanti i tagli. E durissime le proteste dei sindacati. Addirittura un manichino di Marchionne viene impiccato a Nola. E questo costerà il licenziamento, confermato dalla Cassazione poche settimane fa, di cinque operai. Molto criticato, Marchionne, anche per la residenza in Svizzera, specie quando è diventato il manager più pagato d’Italia. Polemiche che ha sempre respinto con fermezza.
L’ultima sfida in Ferrari
L’ultima sfida, iniziata nel 2014, è stata quella della presidenza della Ferrari. Dopo aver preso il timone dalle mani di Luca Cordero di Montezemolo, Marchionne ha cominciato con piglio durissimo. Il Cavallino rampante, reduce da stagioni deludenti, è stato duramente criticato dal manager abruzzese. Dopo anni difficili, la Rossa di Maranello è tornata competitiva. Marchionne aveva definito “straordinaria” la vettura di quest’anno, con Sebastian Vettel che è in testa al Mondiale. La Ferrari è tornata a sfrecciare. L’ultima sfida, Marchionne, amato e odiato, l’ha vinta.