MARCIANISE – Il clan Belforte non si è “polverizzato” come sostenuto dalla difesa di Gaetano Piccolo, detto ‘o ceneraiuolo, ma si è “ridimensionato”: così la Cassazione sintetizza, trovandolo corretto, il provvedimento del Tribunale di sorveglianza di Roma che ha respinto la richiesta della difesa del mafioso di annullare la misura del 41 bis a cui è sottoposto.
Procediamo con ordine. Il 16 giugno 2022, il Tribunale di sorveglianza di Roma respinge il reclamo proposto da Piccolo contro il decreto ministeriale del 13 agosto 2021 con cui veniva disposto il carcere duro. Contro quell’ordinanza, i difensori del marcianisano ricorsero in Cassazione, sostenendo che ci fossero carenze nelle motivazioni e la prima sezione penale della Cassazione effettivamente annullò con rinvio la decisione. Nel frattempo, all’originario provvedimento venne aggiunto quello iscritto a seguito del successivo reclamo di Piccolo avverso il nuovo provvedimento di proroga emesso il primo agosto 2023.
Cosa decidono i giudici? Confermano il rigetto del reclamo contro il decreto del 2021 e respingono quello avverso il nuovo provvedimento. Insomma, Piccolo, condananto all’ergastolo (per il cumulo di due sentenze superiori ai 24 anni di carcere) resta al 41 bis. Ma la difesa non si ferma e impugna tutto di nuovo in Cassazione. E così veniamo ad oggi.
Nel rivolgersi agli Ermellini, gli avvocati del mafioso, esponente del gruppo dei Mazzacane (l’altro nome con cui viene indicata la compagine fondata dai fratelli Domenico e Salvatore Belforte) sostengono che il Tribunale, con la sua nuova ordinanza di diniego allo stop al carcere duro, non avrebbe colmato la lacuna motivazionale, limitandosi a una mera elencazione di provvedimenti giudiziari, relativi, peraltro, a fatti di reato commessi in epoca antecedente al decreto emesso in data 5 novembre 2020 dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere – Sezione misure di prevenzione -, che ha definito l’associazione criminale in questione “completamente azzerata a tutti i livelli, anche di semplice manovalanza”. Il Tribunale, inoltre, avrebbe omesso, dice la difesa, di motivare sull’ulteriore produzione documentale allegata al ricorso e, in particolare, sul decreto del 26 aprile 2023, emesso sempre dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, nel quale viene affermato che il clan e la sua ramificazione dedita allo spaccio sono stati completamente “annientati”. Altro aspetto: avrebbe omesso di motivare in ordine all’evidente errore che vizierebbe il nuovo decreto ministeriale, nella parte in cui fonda la persistente operatività del clan Belforte sull’ordinanza di custodia cautelare emessa il 7 marzo 2023 dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Napoli, quando, invece, in quel provvedimento, era stato espressamente escluso ogni legame dell’associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti – oggetto di quel provvedimento – con il clan Belforte.
La Cassazione ha replicato a questi appunti degli avvocati di ‘o ceneraiuolo affermando che il Tribunale di sorveglianza ha esaminato quanto proposto dalla difesa, ma dandogli una lettura diversa. I giudici, ha chiarito la Cassazione, non negano “la rilevanza della documentazione difensiva, ma – in considerazione della documentazione citata nel decreto ministeriale – la ritengono significativa di un ridimensionamento del clan: le operazioni di polizia e i provvedimenti cautelari indicati in entrambi i decreti applicativi dimostrano che il clan Belforte, che per lunghi anni ha esercitato incontrastato con violenza e controllo militare il suo potere sul territorio di influenza, anche grazie agli importanti contatti e accordi con i Casalesi, seppure negli ultimi anni pesantemente decapitato, non risulta essere stato tuttavia definitivamente disarticolato”. La Cassazione fa pure un’altra carrellata di considerazioni tese a tracciare l’operatività e la pericolosità della criminalità organizzata marcianisana: “Nuove leve hanno assunto il comando come si rileva chiaramente dalla vicenda dell’arresto del boss Della Ventura, cui succedeva la moglie e, dopo l’arresto di questa, il genero (Michele Maravita, ndr)”; “L’ascesa del clan Piccolo-Letizia, dopo le vicissitudini giudiziarie di quello Belforte, non esclude la permanente, seppure ridimensionata, operatività di questo, che continua, con forze rinnovate, a occuparsi di spaccio di sostanze e di estorsioni, avvalendosi del metodo mafioso, estendendo la sua influenza per il tramite dei referenti, non solo sull’agro campano ma anche sul basso Lazio”; “In questo rinnovato contesto il ruolo di elevata caratura criminale di Piccolo non è stato messo in discussione”.
La Suprema Corte nel valutare l’esigenza di tenere Piccolo al 41 bis, ha pure sottolineato che il Tribunale aveva affrontato la questione della sua dissociazione avvenuta nel 2015, e la rinuncia ai motivi d’appello nel processo per l’omicidio di Nicola Falco: “Il comportamento processuale e la condotta dissociativa – hanno chiarito gli Ermellini – non sono sufficienti a dimostrare la recisione del legame con il sodalizio: ‘Le ammissioni di responsabilità accompagnate da dichiarazioni di dissociazione dall’organizzazione criminale comportano prevalentemente, consistenti sconti di pena anche per reati molto gravi’; ‘L’ammissione di responsabilità di Piccolo nel processo per l’omicidio Falco, intervenuta solo nel giudizio di secondo grado e dopo una condanna in primo grado alla pena dell’ergastolo, è in sostanza consistita nell’ammissione dell’addebito, con rinuncia ai motivi di impugnazione, non accompagnata da altre precisazioni sulla composizione e le attività criminali del sodalizio di appartenenza’; ‘Trattasi di una scelta processuale vantaggiosa in termini di nuova determinazione della pena e inerisce a profili di responsabilità esclusivamente personale’.
Alla luce di tutto questo, la sesta sezione della Cassazione, nel sostenere che il clan Belforte, sppur indebolito, è ancora attivo, e che è operativo pure il gruppo Piccolo-Letizia, ha respinto il ricorso e confermato il 41 bis per ‘o ceneraiuolo: se fosse sottoposto a un regime carcerario più lieve, ci sarebbe il pericolo che entrasse in contatto con circuiti criminali nei quali, considerato il suo storico peso mafioso, potesse incidere pericolosamente.