Marco Baliani a “Cronache”: “Racconto la mia generazione e i suoi conflitti”

Al Teatro Nuovo con l'opera "Corpo di Stato" per raccontare i 55 giorni di prigionia di Moro

NAPOLI Marco Baliani è nato a Verbania, il 17 febbraio del 1950. Drammaturgo, attore, autore e regista è stato il primo di una lunga cordata di artisti del ‘teatro di narrazione’, da Marco Paolini a Giuliana Musso a Ascanio Celestini. Ma il suo è un teatro epico, con la forza visionaria dei poemi omerici. “La sua poetica – scrive Fiaschini si fonda sullo stupore e l’incantamento di fronte a quanto narrato o inscenato: in questo si puo’ notare l’eco dei suoi esordi nell’ambito del teatro ragazzi e nella scrittura di fiabe”. Nel 1975 fonda la compagnia ‘Ruotalibera’ con cui realizza alcuni spettacoli per giovani spettatori. Grazie al suo lavoro con i bambini ha vinto il premio ‘Stregagatto’ nel 1993 con lo spettacolo Piccoli angeli scritto e portato in scena con la compagna di teatro e di vita Maria Maglietta. Ma a partire dagli anni Ottanta scrive e interpreta show per un pubblico adulto. Con Kohlhaas (1989) si cimenta nel teatro di narrazione, seguendo la strada aperta da Dario Fo con il Mistero buffo (1969) e di cui è tutt’oggi uno dei massimi esponenti insieme a Marco Paolini ed Ascanio Celestini. Seguono altri monologhi: nel 1998 con Corpo di Stato sull’omicidio di Aldo Moro; nel 2003 Lo straniero tratto dall’omonimo romanzo di Albert Camus; nel 2004 si è cimentato con il suo primo romanzo Nel regno di Acilia. Tra i suoi spettacoli di regia, Corvi di luna, Antigone delle città, messo in scena a Bologna nel 1991 e nel 1992, Peer Gynt e Pinocchio Nero realizzato in collaborazione con l’Ong Amref (African Medical and Research Foundation). Nel 1999 per il Festival del Novecento dei Cantieri Culturali della città di Palermo cura la regia de La Crociata dei Bambini – Ballata per canto e corpi con le musiche di Goran Bregovic ed i bambini del coro delle voci bianche del Teatro Massimo. Nel 2002 il Teatro Massimo di Palermo gli commissiona la regia dell’opera Ellis Island con le musiche di Giovanni Sollima sull’epopea dell’emigrazione negli Stati Uniti. Il ruolo dell’interprete viene affidato – per la prima volta in un teatro lirico italiano – alla popstar Elisa. Nel 1994 ha vinto il premio IDI come regista, per gli spettacoli Come gocce di una fiumana e Prima che il gallo canti. Ma la sua opera più rappresentativa, nell’ottica del lavoro di ricerca, è senza dubbio Tracce di Ernest Bloch, uno spettacolo che si snoda come un viaggio nelle parole. E’ il percorso che l’artista compie per scoprire come è fatto un racconto a viva voce, come accade quel miracolo di una voce che narra e di un orecchio che ascolta, quel trovarsi faccia a faccia, in quell’umana relazione, antica come il mondo, alle origini della nostra specie. Il viaggio si compone di tappe legate a una parola, e ogni sosta genera altri racconti. Stupore, incantamento, memoria, infanzia. Ognuna di queste parole appartiene alla mia arte teatrale. Ma Baliani nel corso degli anni ha anche lavorato come attore cinematografico con registi come Francesca Archibugi, Luigi Comencini, Roberto Andò, Mario Martone e Saverio Costanzo. Nel 2002 con il figlio Mirto ha pubblicato la fiaba Il signor Ventriglia per un pubblico di bambini mentre nel 2011 collabora alla realizzazione dell’opera teatrale Terra promessa. Briganti e migranti, ispirata alla storia del brigante lucano Carmine Crocco.

A Cronache ha parlato della sua arte, della lotta politica di contestazione di fine anni Sessanta, della crescita professionale e del suo continuo lavoro di ricerca iniziato col raccontare fiabe per ragazzi che lo ha poi condotto alla narrazione e all’espressione del teatro epico.

Lei è nato a Verbania, sul Lago Maggiore, diventata città nel 1939 per volontà di Benito Mussolini con l’unione di due piccole realtà, Intra e Pallania. Che rapporto ha con la sua città?

I miei legami con Verbania fanno riferimento ai ricordi di quando ero ancora piccino e andavo dalla nonna. Ho vissuto quasi sempre a Roma per poi trasferirmi a Parma dal 1992, dunque allontanandomi dal mio luogo natio.

Baliani narratore, drammaturgo, scrittore, regista. Quale veste professionale sente più sua?

Di sicuro quella di narratore. Io mi sento raccontatore di storie che posso trasferire scrivendo, filmandole, ma resta sempre la voglia di raccontare restituendole quelle storie attraverso l’arte della narrazione. Una voglia nata già negli anni settanta quando nel nostro Paese era in atto la contestazione giovanile. Io militavo nei gruppi extraparlamentari di sinistra: è da lì che è nato il tutto. Ero iscritto ad architettura ma la voglia di utilizzare il teatro come forma di linguaggio artistico adattandolo alla politica era tanta. Quelli erano anni duri, con le stragi, la lotta, l’eversione.

Nel 1975 fonda la Compagnia “Ruotalibera” con cui ha realizzato alcuni spettacoli per ragazzi.

E’ nata nel contesto storico in cui nascevano gruppi di teatro per ragazzi in tutta Italia. Quello è stato per noi un momento di grande energia. Abbiamo scelto non a caso i più piccini che abitavano le zone più disagiate di Roma ma anche del resto d’Italia. In quei luoghi è nata un’importante formazione teatrale come esperienza diretta.

Un’esperienza da cui è nata la scrittura di fiabe per bambini che lo ha portato a vincere il premio “Stregagatto” nel 1993 con lo spettacolo “Piccoli angeli” insieme alla compagnia teatrale e di vita Maria Maglietta.

Sì, mi ha dato la possibilità di sperimentare la scena teatrale lavorando sul corpo come unica e sola scenografia. E’ negli anni ‘80 che è cominciata la mia prima esperienza da regista mentre nell’84 quella di narratore. Ero a Genova dove cominciai a sperimentare la vera forza del racconto che mi ha permesso di scrivere anche un saggio proprio sulla narrazione.

E Kohlhaas tratto da Kleist? Ce ne parli.

Quello è un caposaldo del mio percorso artistico che mi ha portato alla 1040esima replica. E’ il vero esempio del teatro di narrazione che ho cominciato al Teatro Verdi di Milano nel lontano 1989. Da allora non ho mai smesso di cercare lavorando sull’arte della parola orale.

Lei ha lavorato con registi del calibro di Francesca Archibugi, Roberto Rondò, Mario Martone e Luigi Comenicini.

Sì, un’esperienza diversissima dove ho imparato il ruolo dell’attore davanti alla telecamera. Poi, si è anche lavorato in situazioni molto particolari, in posti come i monti intorno a Trento per raccontare le storie dei soldati italiani sul fronte Austro-ungarico.

“Tracce” di Ernest Bolch, un viaggio nelle parole. Un punto essenziale della sua vita artistica.

“Tracce” è uno spettacolo che si snoda come un viaggio. E’ il percorso che compio per scoprire come è fatto un racconto a viva voce, come accade quel miracolo di una voce che narra e di un orecchio che ascolta. E’ quel trovarsi faccia a faccia, in quell’umana relazione, antica come il mondo, alle origini della nostra specie. Il viaggio si compone di tappe legate a una parola, e ogni sosta genera altri racconti. Stupore, incantamento, memoria, infanzia. Ognuna di queste parole appartiene alla mia arte teatrale: sono parole tematiche che fanno nascere ricordi, personaggi, storie, riportando lo spettatore in una dimensione di ascolto stupefatto. Tracce mostra come il racconto orale metta in relazione gli esseri e ne sveli la comune umanità.

Poi “Pinocchio nero”, “I porti del Mediterraneo”, “Piazza d’Italia”.

Il primo racconta del volontariato che ho svolto in Africa, e precisamente a Nairobi con una Onlus. E’ la storia del famoso burattino Pinocchio però ambientata il quel contesto geografico. “I porti del Mediterraneo”, invece, è un progetto con attori dalle più svariate provenienze e selezionati per il lavoro, mentre Piazza d’Italia è un romanzo che attraversa i cento anni della nostra nazione dopo l’Unità d’Italia.

Lei sarà a Napoli dal 16 al 20 gennaio al Teatro Nuovo con Corpo di Stato, la drammaturgia e regia sono di Maria Maglietta, sua moglie, con la collaborazione drammaturgica di Alessandra Rossi Ghiglione.

E’ un lavoro che racconta dei 55 giorni di prigionia di Aldo Moro, visti dai miei occhi. Vi evidenzio i conflitti in un momento epocale della nostra storia repubblicana. Un modo per raccontare in maniera soggettiva la mia generazione. Per chi ha già visto e ascoltato un’altra mia narrazione, il Kohlhaas, potrà meglio comprendere le ragioni di questo Corpo di Stato e il filo che li lega, poiché il tessuto è lo stesso: il rapporto conflittuale tra esigenza di rivolta contro l’ingiustizia e assunzione del ruolo di giustiziere. Ho cercato allora di ritornare laggiù, in prima persona, ricordandomi di me in quei giorni, trovando nelle mie esperienze di allora quelle “piccole storie” che sole possono tentare di illuminare la Storia più grande. Ho ripercorso momenti dolorosi senza perdere però le atmosfere di quegli anni, gli entusiasmi, i paesaggi metropolitani, le contraddizioni.

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