Messaggi in codice su Wikipedia per comunicare con Antonio Bardellino

Trovato in un'abitazione a Formia riconducibile al boss fantasma un bunker

Antonio Bardellino e gli agenti della Dia

S. CIPRIANO D’AVERSA – Le classiche chiamate? Troppo rischiose. Per comunicare con chi, per oltre 30 anni, sarebbe riuscito a diventare un fantasma, servivano altri canali. Quali? Gli investigatori ne hanno individuato uno a dir poco insolito e, soprattutto, assolutamente sicuro: Wikipedia. Nell’inchiesta, coordinata dal pubblico ministero Vincenzo Ranieri, tesa a far luce sulla scomparsa di Antonio Bardellino, il boss nato nel 1945 a San Cipriano d’Aversa, gli agenti della Divisione investigativa antimafia di Napoli si sono concentrati su inusuali pubblicazioni apparse proprio sul portale Wikipedia relative a tale Santino Laudicino.

Per quale ragione questo nome e cognome aveva richiamato l’attenzione della Dia? Perché, descritto come un malavitoso italo-americano, era stato accostato a Bardellino e addirittura indicato come ‘fondatore del clan dei Casalesi’. E invece si tratta di un personaggio che non è mai entrato in contatto con la mafia dell’Agro aversano. Santino Laudicino è un personaggio di fantasia. Dalle analisi effettuate sulla pagina, è emerso che le informazioni relative a tale Santino erano state inserite da soggetti con nickname schermati. I tecnici incaricati dall’Antimafia non sono riusciti a risalire a chi fossero gli autori.

Già nel 2019 il caso ‘Laudicino’ balzò agli onori della cronaca. Ma ora la Dda si è sbilanciata: per il pubblico ministero Vincenzo Ranieri e per il magistrato Rosa Volpe, che coordina la Direzione distrettuale antimafia partenopea, non è da escludere che questo sistema di comunicazione, cioè l’accostare un personaggio, estraneo ai contesti mafiosi, anzi, mai nato, al clan dei Casalesi, possa essere stato finalizzato a far pervenire messaggi decifrabili solo a determinati destinatari. E non è da escludere che tra questi, dice la Procura di Napoli, possa esserci proprio Bardellino. Perché la verità processuale relativa al suo presunto assassinio, cioè quella messa nero su bianco dai giudici di Spartacus I nel 2005, non convince più la Dda di Napoli.

Negli ultimi anni i magistrati hanno raccolto diverse prove, fornite da finanzieri, poliziotti e agenti della Dia, che hanno tracciato un possibile scenario alternativo a quello finora conosciuto: Bardellino, tra i primi mafiosi campani affiliati a Cosa nostra e tra i capi della Nuova Famiglia, gruppo messo in piedi per contrastare la Nuova camorra di Raffaele Cutulo, non sarebbe stato ucciso tra il 24 e il 26 maggio in Brasile per mano di Mario Iovine (come si legge nella sentenza Spartacus). ‘Marittiello’, che era giunto in Sudamerica per eliminare Bardellino, con l’obiettivo di vendicare la morte del fratello Domenico (fu Francesco Schiavone a dirgli che a uccidere il fratello era stato proprio Bardellino), probabilmente lo risparmiò. E per avere la vita salva, il sanciprianese avrebbe accettato di uscire dalle scene mafiose dell’Agro aversano, diventando, appunto, un fantasma.

A spingere la Dda a ritenere possibile questa nuova lettura, logicamente, non c’è soltanto il presunto uso di Wikipedia per inviare messaggi in codice. Ci sono anche altri elementi, più solidi, come le due foto che raffigurano dei soggetti, tra i 60 e i 70 anni, sconosciuti. Si tratta di immagini che erano in possesso dei familiari del boss, una acquisita dagli investigatori durante un blitz per arrestare Angelo Bardellino e un’altra ottenuta da una fonte confidenziale. Dai confronti eseguiti dai tecnici con la fotosegnaletica di Bardellino, è emersa una compatibilità totale tra la persona ignota ritratta nei due scatti e il mafioso. Cosa significa? Che il boss, se è lui in quelle immagini in un’età compresa tra i 60 e i 70 anni, non può essere stato ucciso nel 1988 quando ne aveva 43.

Foto a parte, ci sono pure avvistamenti descritti da testimoni alla Squadra mobile e alla Digos di Latina, telefonate intercettate tra i parenti del boss residenti in Italia e quelli rimasti a Santo Domingo, dalle quali emerge che il mafioso di San Cipriano d’Aversa fosse ancora vivo.

La Dda cerca Antonio Bardellino vivo

Il nuovo patto tra i Bardellino e il clan dei Casalesi

Trovato un bunker a casa Bardellino

Non solo telefonini, foto, computer e documenti: le perquisizioni scattate mercoledì mattina tra l’Agro aversano e il Basso Lazio hanno portato al ritrovamento anche di un bunker. Si tratta di un covo, fanno sapere gli investigatori, ricavato in un appartamento riconducibile ad Antonio Bardellino. Lo stabile che ospita il nascondiglio si trova nella zona sud di Formia, in viale Dei Pini, traversa di via Appia, poco distante dal centro nazionale di atletica del Coni.

Perlustrando la struttura, le forze dell’ordine hanno scoperto un vano sotterraneo alto circa 170 centimetri e con una superficie molto angusta. Al locale, nascosto al di sotto del pavimento, si arriva attraverso una botola, che si muove su binari scorrevoli, e poi scendendo una scaletta. Al suo interno sono stati rinvenute una panca e una lampada.

I controlli, disposti dal pubblico ministero Vincenzo Ranieri della Dda ed eseguiti nelle scorse ore da poliziotti, carabinieri e agenti della Dia, hanno due obiettivi: da un lato raccogliere elementi utili in grado di dimostrare l’esistenza di un nuovo accordo mafioso tra i bardelliniani, ora attivi nel Basso Lazio, e lo storico clan dei Casalesi, dall’altro trovare prove che riescano a far luce su Antonio Bardellino. Per gli inquirenti non è certo che il boss di San Cipriano d’Aversa sia stato assassinato nel 1988 in Brasile da Mario Iovine, detto Marittiello. Anzi ritengono molto probabile che, se non ancora in vita adesso, sia morto in epoca successiva a quella del presunto agguato.

Il bunker trovato l’altro ieri potenzialmente rappresenta un elemento importante per l’indagine. Chi lo usava? Antonio Bardellino, quando lasciava il Sudamerica per tornare a Formia, come hanno raccontato alcuni testimoni alla Squadra mobile di Latina, o, in perfetto stile mafioso, era un nascondiglio che alcuni suoi familiari, pure coinvolti in attività criminali, avevano allestito in casi di emergenza? Certamente quel covo sarà setacciato palmo a palmo dagli investigatori (parzialmente lo hanno già fatto) che lavoreranno anche per trovare eventuali tracce organiche del boss.

Basco: una quota a Calisto su droga e usura

Se la Dda di Napoli ha deciso di concentrarsi di nuovo sulla figura di Antonio Bardellino, a 35 anni di distanza dalla sua presunta morte, è perché ha tracciato la presenza di un ipotetico gruppo mafioso animato, ora, proprio dai nipoti del boss, ovvero Gustavo, 43enne, e Calisto, 53enne, rispettivamente figli di Ernesto e Silvio (fratelli di Antonio). I due, residenti a Formia, avrebbero gestito illegalmente, sostiene il pm Vincenzo Ranieri, business riguardanti il settore immobiliare e quello delle automobili, corrispondendo parte dei proventi incassati al clan dei Casalesi.

Il fatto che la famiglia Bardellino, messa ai margini della mafia casertana dopo l’assassinio del loro capo, Antonio, almeno dal 2019 sia rientrata in contatto con l’ala criminale artefice proprio di quell’assassinio e del suo confinamento nel Basso Lazio, ha insospettito gli investigatori. È uno scenario che obbligatoriamente porta a dover approfondire quel misterioso delitto brasiliano. E mentre gli investigatori fanno i conti con il passato, devono guardare pure al presente per fermare le attività illecite dell’eventuale nuova alleanza stretta tra bardelliniani e casalesi.

Se gli inquirenti sono riusciti a documentare l’accordo è anche grazie alle dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia. Tra questi c’è Giuseppe Basco. Lo scorso aprile alla Dda ha riferito che nel maggio 2019 era stato inviato da Vincenzo Di Caterino, alias ‘o piattar, e da Romolo Corvino, di Casal di Principe (entrambi indagati per associazione mafiosa insieme ai cugini Bardellino) a ritirare soldi dai Tornicasa, personaggi che, a detta degli investigatori, si occupavano di spaccio e usura nel Basso Lazio: “Andai a Gaeta, da Emanuele Tornicasa. In quell’occasione mi sono presentato e ho detto loro che ero lì per prendere i 2mila euro a titolo di estorsione, perché gestivano una piazza di spaccio e devono dare una somma che mi aveva mandato lì. Tornicasa mi disse che già davano 2mila euro a Gustavo Bardellino per la piazza e per l’usura”. Basco sarebbe riuscito a prendere ugualmente la somma, ma Tornicasa gli disse che “per le prossime volte avrebbe dovuto portarli lui stesso da Bardellino”.

Il pentito, stando al suo racconto, portò il denaro a Casale. “L’incontro – ha riferito il collaboratore di giustizia – avvenne in via Umberto Primo, se non erro, a duecento metri sulla destra del Comune. Dopo dieci minuti è sopraggiunto Gustavo che disse: voi sapete che la mia famiglia è stata espulsa da Casale, io qui non posso prendere i soldi delle estorsioni, quindi i 2mila euro mi devono essere recapitati a Formia e io, poi, vi faccio avere, rivolgendosi a Corvino e Di Caterino, i 500 euro che vi spettano”.

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