Minacce agli agenti e danneggiamenti, condannato il boss Zagaria

Ha distrutto gli impianti di videosorveglianza con un bastone. Durante la detenzione tentò di uccidersi. Poi confessò: "Sono una persona violenta"

Michele Zagaria durante i colloqui in carcere con la cognata

Ha minacciato il direttore del carcere di Opera, dove era recluso, aggredito gli agenti addetti alla sua custodia e distrutto, usando un bastone, le videocamere che lo sorvegliavano: per queste condotte, tenute tra il 5 e il 19 maggio del 2018, il boss Michele Zagaria, alias Capastorta, è stato condannato dalla Cassazione a 3 anni e 6 mesi di reclusione. Pena più bassa (e ora irrevocabile) di un mese rispetto a quella che aveva emesso la Corte d’appello di Napoli lo scorso marzo.

Dopo quelle azioni violente, il capo della camorra casertana venne trasferito prima a L’Aquila e successivamente a Tolmezzo, dove è tuttora detenuto al 41 bis. Milano per Zagaria ha rappresentato anche il tempo delle ‘confessioni’. Il 9 febbraio del 2018 (poco prima che andasse in escandescenze) avrebbe tentato di suicidarsi. Si legò un’estremità dell’accappatoio al collo e l’altra alle sbarre delle celle. Un poliziotto intervenne tempestivamente. Capastorta spontaneamente iniziò a parlare.

Raccontò di essere un soggetto capace di compiere gesti violenti. All’ispettore confidò anche di aver a cuore una ragazza di circa 14 anni, una nipote che però considera una figlia. Ma della giovane non aveva più notizie. Si lamentò degli arresti delle sorelle. Indicò alcuni familiari ritratti nelle foto appese alla parete. Ma di pentirsi non ne voleva sapere. Anzi, criticò la collaborazione con la giustizia di Giovanni Brusca e trovò il tempo per considerare poco genuina quella di Antonio Iovine.

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