CASERTA – “Fino a che ci saranno persone che vivono senza una garanzia del futuro, sottopagate, costrette ad accettare condizioni critiche e morire sul lavoro la Festa del Lavoro sarà soltanto per chi può permettersela, una celebrazione di facciata”: la festa del Primo Maggio riporta alla luce le numerose criticità in cui viene a trovarsi il ‘mondo del lavoro’, dove sono milioni di dipendenti che si ritrovano a combattere contro una mancanza di garanzie che rende l’impiego soffocante quando non letteralmente fatale.
Per molti non sarà una festa. Due anni di pandemia hanno fatto una strage di posti di lavoro. Le aziende, costrette a ridurre produzione e servizi, quando non addirittura a chiudere, hanno si sono ‘liberati’ dei dipendenti in eccesso. Non hanno avuto bisogno di licenziarli: in molti casi la naturale precarietà delle assunzioni ha reso facile, per le imprese, tagliare i rapporti con gli impiegati. “Avevo un contratto a termine di due anni – sono le parole di Lorenzo De Santis – E’ finito proprio all’inizio del 2020. Come centralinista speravo che, come altri lavoratori, venissi spostato in telelavoro. La maggior parte di noi, però, non ha avuto questa fortuna. Quando i contratti sono giunti al termine semplicemente non ce li hanno rinnovati. Decine di lavoratori hanno perso il posto ed attualmente sono ancora in cerca di un impiego. Per loro il Primo Maggio sarà tutt’altro che una festa, senza un vero lavoro”. Il mondo del lavoro, soprattutto nei confronti dei giovani, si dimostra spietatamente precario. E’ raro incontrare lavoratori al di sotto dei 30 che abbiano contratti regolari e ancora più insolito se questi siano anche a tempo indeterminato. Un lusso che pochi hanno. Nella maggior parte dei casi, infatti, si tratta di contratti part-time, che comunque sono anche a tempo determinato. Senza il sostegno delle famiglie sarebbero spacciati. Con retribuzioni mediamente basse, in prevalenza sotto i 10mila euro, oltre la metà dei giovani deve rinunciare all’autonomia, vivendo ancora con i propri genitori. Il futuro fa paura: quasi tre quarti sono convinti che l’importo dell’assegno pensionistico non consentirà di vivere in modo dignitoso. “L’ultimo contratto che mi hanno fatto è stato della durata di un anno – a parlare è Mimmo Campagna – Poi ho dovuto lavorare a nero presso un locale di ristorazione. Non che lo volessi: solo dopo mesi in cui mi era stato promesso di ‘mettermi a posto’ ho capito che sarei rimasto un lavoratore precario. Così me ne sono andato senza ricevere nemmeno un minimo di liquidazione”.
La situazione in cui vengono poi a trovarsi a lavorare è disastrosa. Nel curriculum di oltre la metà degli under 35 ci sono esperienze di lavoro nero, contratti precari e disoccupazione, ma anche vessazioni o molestie sul lavoro (sono denunciate da una giovane su 7). Secondo gli studi dell’Eures l’attività di quasi un giovane su tre è caratterizzata da un’elevata discontinuità lavorativa e solo 4 su 10 hanno lavorato per almeno l’80% del tempo. La maggior parte di loro ha una retribuzione di inferiore ai 10mila euro annui. “Guadagno poco più di 800 euro al mese – dichiara Marcello Santonastaso – A stento riusciamo a pagare affitto, bollette e fare un po’ di spesa. Appena arriva un pagamento da fare, come l’assicurazione dell’auto, è un problema. Se non ci fossero le nostre famiglie saremmo già sul lastrico. Per noi che siamo precari non c’è nulla: soltanto dieci ore di lavoro al giorno, malpagate e senza nessuna prospettiva né speranza per il futuro”.
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