Mozzarelle imposte ai ristoratori: così la cosca gestiva il territorio

Mozzarella imposte ai ristoratori: così la cosca gestiva il territorio
Mozzarella imposte ai ristoratori: così la cosca gestiva il territorio

NOLA – Cosa faceva il clan Sangermano per controllare il tessuto economico del territorio compreso tra il Nolano e l’Irpinia? Il pool anticamorra di Napoli ha documentato e descritto con dovizia di particolari le attività illecite della cosca e il suo modus operandi. L’organizzazione, in sostanza, si basava su meccanismi tipici della camorra di un tempo. Niente ‘holding’ e colletti bianchi, insomma, ma una mala ancora tradizionale.  Secondo le accuse della Dda, i Sangermano imponevano le forniture di mozzarelle ad alcuni ristoranti, non solo in Campania, ma anche a Palermo e a Roma. Nel mirino del clan sarebbero finiti anche i noti agriturismi di Monteforte Irpino, le attività di ristorazione Quagliarella e O’ Pagliarone, ‘mete’ di gite enogastronomiche che partono da ogni angolo della regione e non solo. In pratica, i titolari dei ristoranti erano costretti, tramite violenza e minaccia, a comprare la mozzarella indicata dal clan, ovvero quella prodotta dal caseificio San Giacomo, ubicato a Saviano. Il tutto, ovviamente, a favore degli affiliati. Il tutto, ovviamente, a favore della cosca. I soldi, infatti, andavano a confluire nelle casse dell’organizzazione criminale. Non solo mozzarelle (che puntualmente si rivelavano scadenti), ma anche (e soprattutto) edilizia. E’ quello delle costruzioni l’altro settore invaso dalla cosca. Sono ben undici le ditte lese dai comportamenti fuorilegge di alcuni dei membri del clan disarticolato ieri mattina. L’obiettivo dei Sangermano era favorire l’attività di famiglia, la Edil Sangermano, e i mezzi per portare a casa la missione erano nel segno delle minacce e della violenza. Imprenditori vittime di raid intimidatori e costretti a rifornirsi proprio dalla Edil Sangermano, costruttori obbligati ad acquistare materiali ferrosi, investitori indotti con la violenza a non siglare contratti con altre imprese, funzionari costretti a praticare sconti incredibili alla Edil Sangermano e ad attivarsi affinché la stessa rivendita  diventasse punto di riferimento per i vari costruttori interessati ad acquistare prodotti edili con  marchi Sacer e Mapei. Insomma, ovunque ci fossero soldi e opportunità di guadagno, c’erano anche i Sangermano. Che, in cambio, promettevano ‘protezione’, la solita formula tipica del racket. Meccanismi che non potevano sfuggire all’occhio esperto degli inquirenti della Dda. 

Anche la Madonna doveva inchinarsi al potere del boss

 Si scrive camorra, si legge Sangermano. E viceversa. L’influenza criminale del clan, nel Nolano, raggiunse livelli inquietanti nella primavera di sei anni fa. Era il 5 giugno del 2016 e la città di San Paolo Bel Sito era vestita a festa per la processione religiosa in onore della Beata Vergine del Rosario. Durante la cerimonia, avvenuta alla presenza di numerose autorità locali (sindaco, parroco e comandante della stazione locale dei carabinieri), gli astanti assistettero ad una sosta per alcuni minuti della statua della Madonna davanti alla dimora dei due fratelli Sangermano, con annesso inchino dell’icona con canto lirico dell’Ave Maria in chiaro segno di ossequio.  La sosta non era assolutamente prevista nel programma predisposto dal parroco e convalidato dal  sindaco in qualità di responsabile di pubblica sicurezza. 

Nella relazione redatta dai carabinieri di San Paolo Bel Sito sugli eventi, si rilevò la contestuale presenza all’evento, tra gli altri, di tutti membri della famiglia criminale: i fratelli Agostino e Nicola e il loro cugino Michele Sangermano, tutti residenti in via Marchesa di Livardi. L’evento generò, nell’immediatezza, l’indignazione del parroco di San Paolo Bel Sito, don Fernando Russo,il quale lasciò la guida della processione e, con fermezza e coraggio, si allontanò repentinamente dal corteo. La notizia aveva sin da subito rilievo nazionale tanto balzare per diversi giorni sulle principali testate di quotidiani e telegiornali. La gravità dell’evento indusse la Curia Vescovile di Nola a programmare un incontro  lampo per analizzare quanto accaduto.

La riunione avvenne quattro giorni più tardi, il 9 giugno, alla presenza del vescovo Beniamino De Palma, del sindaco pro-tempore di  San Paolo Bel Sito Manolo Cafarelli (che, nell’inchiesta culminata nel blitz di ieri, risulta indagato) e dell’allora comandante della stazione dei carabinieri di Nola Vincenzo Perfetto. Sul caso indagarono proprio i militari dell’Arma. In città si respirava un clima pesante. Chiamati a rilasciare dichiarazioni sull’accaduto, numerosi abitanti tentennarono, dimostrandosi poco chiari: comportamenti che risultarono pesantemente condizionati dalla  enorme forza di intimidazione esercitata dal sodalizio. Nei giorni successivi, poi, i carabinieri registrarono una serie di ulteriori atti intimidatori rivolti al parroco per aver fronteggiato il sodalizio con l’abbandono immediato della cerimonia religiosa. Un’offesa che il clan volle punire con intimidazioni che riguardarono anche il danneggiamento di alcuni appezzamenti terrieri di proprietà della Santa Chiesa (ubicati in via Lavariello della frazione di Livardi, dove vivono i Sangermano) e in gestione a don Fernando Russo, con l’abbattimento di numerose piante da frutta. 

L’ombra dell’usura dietro il suicidio di un operaio 47enne

Un operaio suicida e l’ombra dell’usura. E’ quanto si evince tra le oltre 1600 pagine del provvedimento che, ieri mattina, è stato eseguito dai carabinieri. Nell’ordinanza a carico del clan Sangermano è citato un episodio che, secondo il gip, è utile riportare “in quanto sintomatico dell’attività usuraria o comunque dell’abusivo esercizio dell’attività di finanziamento e di credito da parte della cosca”. Condotte che hanno comportato il suicidio di un operaio, Agostino R., 47enne trovato morto nell’aprile di quattro anni fa a Piazzolla di Nola. Nel corso delle indagini, gli inquirenti della Dia hanno captato numerose intercettazioni dalle quali si evincerebbe un potenziale rapporto di natura usuraria tra Salvatore Sepe (finito in carcere) e l’operaio. Va comunque precisato che Sepe, al pari degli altri indagati, non risponde di istigazione al suicidio. Dalle intercettazioni emerge una realtà che parla di debiti contratti per il noleggio di alcune utilitarie e dei relativi possibili guadagni da parte di Sepe. Prima di farla finita, Agostino lasciò una lettera manoscritta indirizzata alla moglie e al figlio: “Mi dispiace, ma non ce la faccio più. Non merito di stare sulla terra, ho sbagliato come padre, come uomo e come marito. Ho fatto parecchi guai e non voglio che voi dovete pagare la sofferenza”“Alla luce delle captazioni esaminate – scrive il gip Fabrizio Finamoreè assai probabile che abbia deciso di suicidarsi a causa della sua esposizione debitoria nei confronti degli indagati”.

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