ROMA – Il flashback è immediato perché l’età da cui raccogliere un ricordo non si esprime con l’astrazione dei numeri ma con la concretezza autentica di una emozione che resta incollata per sempre. “Quell’11 luglio del 1982 al fischio finale della partita sono sceso in strada a festeggiare con mio fratello in sella ad una bicicletta a Cerenova Costantica, dove i miei avevano una casetta, sventolando la bandiera tricolore. Ammetto che non era esattamente un corteo di quelli importanti ma è stato proprio divertente”. E indelebile. A quindici anni, Fabio Caressa, condirettore di Sky Sport, già sapeva quale sarebbe stata la sua strada, la traiettoria di una passione segnata dall’amore incondizionato per il calcio e lo sport che l’avrebbe portato a diventare tra i più popolari e amati telecronisti italiani. Le ‘cronache’ a bordo campo al liceo durante partite improvvisate rubate all’ora di ginnastica, così come i commenti davanti al tavolo di Subbuteo, come lui stesso racconta a LaPresse, sono stati i suoi primi passi verso quel mondo magico che non ha più lasciato. “Di quel mondiale di 40 anni fa ricordo la grande emozione del primo gol di Rossi contro il Brasile al Sarrià ma soprattutto la sua terza segnatura alla Seleçao. Sembrava impossibile potesse fare gol ancora, soprattutto dopo il 2-2 di Falcao che fece esultare qualcuno nelle case accanto alla nostra. Io invece ci tenevo molto ad una grande prova dell’Italia. E devo dire che quando poi negli anni ho conosciuto Paolo Rossi, beh, quella prima volta mi ha fatto un effetto pazzesco”. Quel mondiale targato ‘Pablito’ lo stregò per sempre. “Fu molto emozionante. E ricordo che iniziai a vedere i filmati che aveva fatto Michele Plastino che era partito per la Spagna montando poi tutto a volo – aggiunge – Quei servizi ora si sono poi potuti rivedere anche adesso attraverso Sky Documentaries”.
Il Mondiale cadenza le epoche, ‘cristallizza’ momenti ed emozioni e proprio per questo la doppia assenza dell’Italia al torneo iridato, per Caressa genera negli adolescenti un ‘buco nero’ emotivo. Un peso troppo grande da sopportare. “Il grande disastro che l’Italia non abbia fatto i due ultimi mondiali è che in realtà i bambini si avvicinano al calcio sempre per le grandi manifestazioni. Le prime partite che vidi furono quelle dei Mondiali del ’74 in Germania e poi quelle del ’78 – è il secondo flashblack di Caressa a quel 1982 – Nell’edizione in Argentina le partite erano trasmesse di sera, avevamo la tv a colori e venivano a trovarci mio nonno e mia nonna per seguire gli incontri. Meno male che l’Italia ha vinto l’ultimo Europeo e che molti ragazzi si sono potuto avvicinare al calcio e allo sport. Per loro la doppia assenza al Mondiale da parte dell’Italia è un trauma importante. Mio figlio che ha tredici anni non ha ancora visto un Mondiale con l’Italia. Pazzesco”. Il Mondiale è anche l’apoteosi della scaramanzia, fatta di riti e rituali, gesti più o meno da ripetere se quel gesto inconsapevole ha regalato gioia e fortuna. “Con me si casca male, a me la scaramanzia innervosisce. Dico sempre che la sfortuna è un calcolo sbagliato delle probabilità. È una scusa per i perdenti. Quando mi metto di fronte ad una decisione, cerco di capire quali sono le probabilità di successo, non se mi può andare bene o male”. L’11 luglio non è una data qualunque per Caressa per più di un motivo. E non cetra solo l’impresa azzurra. Perché nel 1999 coincide con quella del matrimonio con la conduttrice e scrittrice Benedetta Parodi. “Fu un caso ma quando l’anno successivo lo raccontai a Beppe Bergomi, che scelsi da allora come seconda voce, lui mi guardò e mi disse, ‘Fabio, hai scelto proprio il giorno giusto'”.
Per il quarantennale Sky Sport ha confezionato una programmazione speciale, tutta dedicata all’evento, che inizia alle 6 del mattino con ‘Una pedalata con Claudio Gentile’ e va avanti fino a tarda notte con ‘L’Uomo della domenica’ su Paolo Rossi. “Resto sorpreso dal fatto che si celebri con così tanto trasporto questa impresa nel quarantennale e non si è fatto ad esempio per il decennale o i 25 anni. Il motivo credo sia nel fatto che capita nell’anno in cui non siamo al Mondiale. Poi si lega alla recente scomparsa di Paolo Rossi. Ma soprattutto perché i quarant’anni segnano il passaggio di due o tre generazioni. Sono tutti grandi quelli che raccontano queste emozioni. E poi c’è anche il periodo storico analogo a quegli anni”. Anni difficili i primi anni Ottanta ma di gioia infinita per un quindicenne in sella ad una bici sventolando il tricolore lungo le strade di Cerenova Costantica, frazione del comune di Cerveteri, con una manciata di anime. Il centro del mondo per un sognatore che da grande sta raccontando da anni quel romanzo di avventura e di vite chiamato calcio.
Di Luca Masotto