Continua la pantomima sulla sanità campana tra governo e governatore. Lo scambio di accuse sulla vicenda della nomina del (nuovo?) commissario sta dando vita in queste ore ad un stillicidio di polemiche che rischia di trascinare la Campania e i campani in una bagarre eminentemente politica di cui non si avvertiva affatto la necessità. Con un’aggravante.
Lo scontro da campagna elettorale permanente tra i Cinque Stelle da una parte e De Luca dall’altra rischia di far perdere di vista il vero obiettivo della questione: assicurare ai cittadini della nostra regione le risposte che meritano rispetto ad una domanda di salute che, a ragione, rivendicano ma che, ad oggi, non vedono soddisfatta. Si finisce così per confondere il risultato politico della prosecuzione/interruzione del commissariamento con il vero nocciolo della questione, ossia la totale assenza di programmazione nella gestione dei servizi di assistenza ai cittadini in Campania.
È qui che il centrodestra deve far sentire forte la sua voce, come peraltro già sta facendo, rimarcando una distanza netta sia da De Luca, che pretende di attribuire a se stesso i meriti della fine di un’esperienza lunga dieci anni per giocarsi la carta in campagna elettorale dell’uscita dal commissariamento, sia dalla compagine grillina che, da una parte, mira alla sostituzione dello stesso De Luca per dare in pasto all’opinione il capro espiatorio della prosecuzione del piano di rientro in sanità ma dall’altro ne rallenta la nomina, attribuendo l’impasse alla Lega, per ragioni di convenienza, per evitare cioè di accollarsi per intero il tonfo della gestione deluchiana di questi anni. E ciò al netto delle rivendicazioni intrise di propaganda della collega Ciarambino.
Ma se non si sta né con De Luca né con i Cinque Stelle, da che parte si sta? Semplice. Dalla parte della Campania. Potrà sembrare retorica ma non lo è. Le lacune che oggi emergono prepotentemente all’ombra del Vesuvio nell’assistenza ai cittadini sono frutto, infatti, di un deficit nella pianificazione di atti ed interventi che, senz’altro, dura da anni ma che si è acuito con la nomina dei commissari. E, per essere franchi, si tratta di un deficit che è sensibilmente peggiorato con le gestioni di burocrati catapultati qui da fuori regione. Uomini collaterali alle strutture dei partiti di governo che con il loro fare ragionieristico e privo di ogni mediazione con i territori hanno appesantito, invece che sveltire, la macchina amministrativa campana, con storture nell’erogazione dei servizi che i cittadini hanno pagato e stanno ancora pagando. La soluzione è dunque un’altra. Non è quella verticistica e piramidale ma orizzontale e partecipata: restituire la competenza al Consiglio regionale. Si tratta di guardare alla questione da una prospettiva diversa. Più inclusiva e meno dirigista.
Quando il piano ospedaliero lo scriveva l’assemblea regionale, democraticamente eletta dai cittadini, le cose andavano diversamente. Certe discrasie non c’erano, perché le antenne sul territorio, rappresentate dai consiglieri, dalle tante sensibilità presenti in assise, ne sfumavano i confini. E seppure, in taluni sparuti casi, un problema di interpretazione della domanda di salute nasceva, lo si affrontava in tempi rapidi e con risultati certi, ricorrendo alla vecchia e risoluta fase emendativa.
Non è questione di dare potere a De Luca o di toglierglielo, dunque. La giunta regionale viene in un secondo momento. I disservizi e le disfunzioni che oggi vediamo sono frutto della scarsa o inesistente programmazione. Non tanto o non solo delle azioni esecutive. Va riaperta, quindi, la partita della prospettiva nella sanità campana e dismessa la battaglia di retroguardia dei veti incrociati tra governo e governatore. La querelle delle posizioni di facciata ha il fiato corto, la nostra, invece, è la sfida della programmazione, quella che il centrodestra intende riportare in Consiglio regionale. È un’altra cosa. Una battaglia nell’esclusivo interesse dei campani. Non il solito teatrino della politica.