Niente resterà impunito

Foto Roberto Monaldo / LaPresse Nella foto Vincenzo D'Anna
Foto Roberto Monaldo / LaPresse Nella foto Vincenzo D'Anna

Furono di piombo e di sangue gli anni tra il Settanta e l’Ottanta del secolo scorso. L’epoca del terrorismo e dell’eversione armata contro lo Stato democratico. Oltre un centinaio gli omicidi rivendicati, in quel periodo, dalle varie formazioni che avevano dichiarato guerra al cosiddetto sistema capitalistico. Le vittime furono per la maggior parte agenti di polizia e carabinieri ed, a ruota, altre categorie quali politici, magistrati, dirigenti di aziende pubbliche e private, giornalisti, militari, e chiunque rappresentasse, a vario titolo, le pubbliche istituzioni. La maggior parte dei morti ammazzati, una ottantina, furono rivendicati dalle Brigate Rosse la più grande e agguerrita delle formazioni armate, di matrice marxista leninista e stalinista,  presenti in Italia. Molto influì sulla loro formazione ideologica (e su quella di altri gruppi terroristici di sinistra), anche la rivoluzione comunista in Cina ed i principii contenuti nel “libretto  rosso” di Mao Tze Tung. Quest’ultimo, emulo di Lenin, aveva abolito il sistema aristocratico feudale, cancellate le concessioni fatte ai paesi stranieri e obbligato il popolo a rieducarsi. Una rivoluzione costata milioni di morti, per stenti e per fame oltre che nei campi di concentramento detti di rieducazione. Furono quelli nel paese della “Grande Muraglia”, anni di tragedie inenarrabili, che il regime maoista teneva ben occultati, alimentando, viceversa, all’estero, l’idea di una rivoluzione ben riuscita ed improntata alla libertà popolare e proletaria. La ferrea ed acritica applicazione dei dettami del marxismo induceva comportamenti aberranti anche altrove. Un esempio per tutti, accaduto in Cambogia, sotto la dittatura dei “khmer rossi”: chiunque possedeva un paio di occhiali veniva incarcerato e poi deportato, essendo considerato un intellettuale e come tale un deviazionista dalla ferrea filosofia proletaria. A questa tirannia sanguinaria si inneggiava in talune università italiane, ove capi e capetti di corpuscoli extra-parlamentari, scimmiottavano i grandi leader comunisti sotto le loro gigantografie. Dall’esacerbazione dei concetti e delle pratiche marxiste la teoria finiva per trasformarsi in intenzione pratica, quella di sovvertire con la forza le istituzioni in Italia. Un paradigma illogico, un delirio  mentale che non aveva alcuna ragione storica ed alcun retroterra culturale, men che meno un seguito sociale. L’Italia infatti non era la Cina feudale né l’Unione Sovietica degli Zar, era un Paese ove le libertà ed i diritti civili, sindacali e politici, regolavano la civile convivenza. Fu questo l’errore storico e la miopia politica  dei “cattivi maestri” che indicarono la strada della lotta armata. Sorsero una miriade di corpuscoli. Non solo le Brigate Rosse, ma anche Lotta Continua, i Comunisti Combattenti, Prima Linea, i Gruppi Armati Proletari e così via. Molti degli ideologi di quel tempo, che non si erano sporcate le mani di sangue, li troviamo oggi a dirigere giornali e programmi televisivi ripuliti nell’immagine e, speriamo, nella loro coscienza. Invece quelli cosiddetti “irriducibili”, che non si pentirono mai dei misfatti, una volta arrestati, scontarono pesanti condanne. Il caso più eclatante, che segnò il culmine della stagione eversiva e del terrorismo, fu il rapimento e l’uccisione del leader democristiano Aldo Moro e della sua scorta. La risposta delle forze politiche e democratiche, sindacali, civili e religiose, fu unanime e ferma come si conviene innanzi a chi ha commesso orrendi crimini e per il rispetto delle vittime e della dignità superiore dello Stato. Prese corpo la teoria dei “maître a penser” come Tony Negri, Renato Curcio, Adriano Sofri, Adriana Faranda, Cesare Battisti, Mario Capanna, Mario Moretti e tanti altri. Alcuni di questi, scontata la pena, sono tornati nella società mantenendo finanche il sussiego degli intellettuali che hanno qualcosa da eccepire e da raccomandare alla società italiana. Altri invece fuggirono e ripararono all’estero senza mai scontare condanne per omicidio e per altri crimini contro lo Stato. Alcuni rifugiarono in Sud America altri nella vicina Francia. Quest’ultima nazione ha da sempre accolto esuli politici e perseguitati da eventi dittatoriali e rivoluzionari. Una tolleranza di antica data che risale a Voltaire ed al secolo dei lumi. Simpatie che alcune volte non hanno consentito di poter distinguere, tra i rifugiati, chi vi fosse espatriato come vittima e chi, invece, come carnefice. La cattura in questi giorni, di sette terroristi e la fine della cosiddetta dottrina Mitterrand, che accoglieva tutti gli esuli politici, segna un punto in favore della giustizia e della storia italiana. Stavolta siamo noi a fare nostro il motto delle BR: niente resterà impunito!!

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