MARCIANISE – La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso presentato da Luigi Trombetta, detenuto di 69 anni, confermando
l’ordinanza del Tribunale di Sorveglianza di Bologna che dichiarava inammissibile la richiesta di accesso alla misura alternativa della semilibertà. La vicenda trae origine dalla condanna a 30 anni di reclusione inflitta a Trombetta, boss del clan Belforte, per gravi reati, tra cui l’associazione mafiosa. Il calcolo della pena prevedeva l’espiazione dal 26 marzo 2010 fino al 14 luglio 2036. Il Tribunale di Sorveglianza aveva ritenuto inammissibile la richiesta di semilibertà poiché il condannato non aveva ancora espiato i due terzi della pena, requisito essenziale per l’accesso al beneficio.
In particolare, si evidenziava che, anche considerando i 1.350 giorni di liberazione anticipata (pari a oltre 3 anni e 8 mesi), Trombetta non aveva ancora raggiunto i 20 anni di pena effettiva espiata, soglia minima necessaria per poter accedere alla misura. A ciò si aggiungeva una valutazione negativa nel merito: il percorso di reinserimento sociale del detenuto era ritenuto ancora troppo esiguo, limitato a quattro permessi premio (uno dei quali svolto con scorta), senza segnali concreti e stabili di distacco dal contesto mafioso di provenienza. Il legale di Trombetta, l’avvocato Giuseppe Magliocca, ha presentato ricorso articolando due principali motivi: erroneità nel calcolo della pena espiata, sostenendo che Trombetta fosse detenuto ininterrottamente dal 2 novembre 2006 e che le pene fossero da considerarsi in continuazione tra loro, quindi computabili cumulativamente; mancanza di motivazione nell’ordinanza di rigetto, in merito alla mancata considerazione delle pene espiate precedentemente e dell’applicazione del vincolo della continuazione.
La Corte, con relatore il consiglie- re Paola Masi e presidente Monica Boni, ha respinto il ricorso giudicando infondati entrambi i motivi. È stato ribadito che il Tribunale di Sorveglianza ha correttamente applicato i criteri legali di calcolo della pena, anche in relazione alla non fungibilità delle pene espiate prima del reato commesso fino al 25 marzo 2010. Tale reato, pur se riconosciuto in continuazione con altri, resta soggetto a un trattamento autonomo ai fini del calcolo dell’espiazione. Inoltre, la Cassazione ha sottolineato che la valutazione sulla non meritevolezza del beneficio non è stata impugnata adeguatamente dal ricorrente, né argomentata se non gene- ricamente in una memoria successiva. Questo, di per sé, sarebbe stato sufficiente per rigettare il ricorso.
Con la sentenza depositata a giugno, la Corte ha quindi confermato la decisione del Tribunale di Sorveglianza di Bologna, condannando Luigi Trombetta anche al pagamento delle spese processuali. La vicenda rappresenta un’ulteriore conferma della linea rigorosa adottata dalla giurisprudenza italiana nei confronti dei soggetti condannati per reati di mafia, soprattutto in fase di esecuzione pena, dove i percorsi di reinserimento devono essere concreti, costanti e documentati, e dove il rigore nel calco- lo delle pene espiate resta un pilastro dell’equità e della legalità. L’ex killer dei Belforte che in questi anni trascorsi in carcere ha studiato e ha tenuto un comportamento corretto, per i giudici però non si è mai ravveduto sul suo passato.
Essendo il suo clan di riferimento ancora attivo la decisione di non concede- re la semilibertà è stata la naturale conseguenza delle sue scelte e dei soli 15 anni trascorsi finora in carcere per i reati relativi alla pena che sta scontando. Per un periodo il 69enne fu anche il capo della cosca di Marcianise, colui che la dirigeva in assenza dei due capi storici, i fratelli Domenico e Salvatore Belforte. Da sempre uomo di fiducia
della cosca dei Mazzacane non ha mai dato la sua disponibilità a collaborare con la giustizia ma è riuscito però ad evitare l’ergastolo per i
gravissimi reati i cui si è macchiato.