No al gender

Foto Roberto Monaldo / LaPresse Nella foto Vincenzo D'Anna
Foto Roberto Monaldo / LaPresse Nella foto Vincenzo D'Anna

Da un po’ di tempo a questa parte improvvisati “maître a penser” discettano e propagano, ovunque, un miscuglio filosofico pedagogico, comunemente detto “politicamente corretto”. Si tratterebbe, secondo questi intellettuali, di dover adeguare linguaggio e pensiero all’emancipazione ed alla modernità dell’agire di ogni buon cittadino e, di converso, a quella delle istituzioni. Insomma: l’adozione di un nuovo vocabolario, fatto di una semantica aggiornata ed in linea con la modernità dei costumi e di un pensiero che sdogani comportamenti, abitudini e mentalità neanche si trattasse di realizzare un nuovo umanesimo. Le punte più avanzate di questa “scuola di pensiero” le ritroviamo tra politici e giornalisti di estrema sinistra e tra gli esponenti dell’associazionismo legato al mondo LGBT (lesbiche, gay, bisessuali e transessuali).

Da questo combinato disposto culturale, politico e comportamentale, viene fuori una sorta di “dottrina” che cerca di imporre, all’intera comunità, la cosiddetta “teoria del gender”. Un cambiamento radicale, che dovrebbe essere insegnato fin dalle prime classi delle scuole elementari, dove si dovrebbe accreditare ed accettare come adeguamento di tipo progressista, la cancellazione dell’eterosessualità, della diversità di genere e della famiglia, quest’ultima nell’accezione e nella composizione comunemente percepita finora. A cominciare dal sesso, dunque, che non dovrebbe essere più identificato con quello biologico e cromosomico della nascita, bensì con quello che in seguito la persona percepirà per inclinazione e comportamento. In altre parole: l’identità sessuale di un individuo non dovrebbe essere più stabilita dalla natura, dalla genetica umana, dall’incontrovertibile dato biologico che segna l’appartenenza ad un genere prestabilito. Nossignore. Ciascuno, secondo i sostenitori del gender, dovrebbe poter essere libero di auto-determinare la propria identità di genere e di conseguenza la propria sessualità, concepita come gusto oppure inclinazione psicosomatica. Una contraddizione, un’abiura della fisiologia umana e delle leggi biologiche e naturali.

Karl Popper nel definire la “Big society”, la società aperta ed emancipata dai diritti e dalle libertà garantite ed inalienabili del singolo cittadino anche innanzi allo Stato, affermò che queste società devono essere aperte a tutte le opinioni tranne che a quelle degli intolleranti. Mai definizione fu più opportuna di questa per definire l’ambito del “politicamente corretto” relativamente al gender. Infatti quello che maggiormente disturba nei fautori di questa teoria, è la pretesa, apodittica, di essere i possessori di una verità che emancipa il mondo e gli individui. Una verità che bolla tutti quanti gli altri come retrogradi se non addirittura omofobi e trogloditi violenti. Insomma, le deprecabili intolleranze di qualcuno contro le categorie ed i gusti sessuali diversi degli altri, diventano la cifra distintiva di tutti coloro i quali rifiutano quelle teorie filosofie e pedagogiche dette “gender” sulla base di argomentazioni non solo valide e certificate dalla scienza ma in linea con una serie di valori e di ragionamento che hanno da sempre i diritti di cittadinanza. Una violenza, quella del gender e dei fautori della parificazione totale dei generi (se non della cancellazione dei medesimi), che matura al coperto delle proposte di parificazione dei diritti. Fuor di metafora: dire che gli omosessuali hanno diritti da riconoscere e da parificare ad altri diritti, non deve poter consentire a nessuno di definire quanti non sono d’accordo, come espressione retriva della società, della comunità e della modernità sociale. Un gioco subdolo quello spesso praticato, sia in Parlamento che in altri ambiti, da parte degli elargitori della patente di omologazione alla categoria del “politicamente corretto”. La natura ha i suoi precetti. Tra questi il dettato della conservazione della specie, della tutela della biodiversità, della capacità di potersi adattare e sviluppare anche in ambienti avversi grazie all’incrocio dei geni appartenenti ai diversi gameti maschile e femminile. Se non si fosse sviluppata questa modalità biologica di rimescolamento dei geni, i nostri figli sarebbero i nostri cloni e noi, come livello evolutivo, salteremmo ancora da un albero ad un altro. Quindi non saranno le congetture filosofiche oppure le comodità intellettuali di chicchessia a cancellare l’eterosessualità ed i suoi valori biologici e culturali. Ne discende che possiamo ben rifiutare le teorie che cancellano la fisiologia della vita e la cultura della famiglia tradizionale, che è vecchia quanto il mondo. Lucio Anneo Seneca, filosofo nell’antica Roma, ammoniva che agire secondo natura significa agire secondo giustizia, che l’uomo deve vivere in armonia col Creato. Rispettare i diversi, riconoscerne i diritti come esseri umani e come cittadini, è un atto di civiltà che non può e non deve imporsi come un atto di emancipazione né tantomeno di equiparazione forzata. Lorsignori se ne facciano una ragione.

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