“Stringete i denti, tra un po’ sarà diverso”, “Un piccolo sacrificio adesso per tornare sereni fra qualche mese”, ci dicevano l’anno scorso. Altro che qualche mese. Abbiamo stretto denti e fatto sacrifici ben oltre Pasqua 2020, ed ora siamo qui che è arrivata la 2021. Non siamo tornati al ‘classico’ punto di partenza, no. Siamo più indietro. Più soli, più poveri, più arrabbiati.
La sensazione che in un anno di pandemia non sia cambiato nulla, e che non si intravedono spiragli di luce, rende questa Pasqua molto diversa da quella che dovrebbe essere. Ed è letteralmente pericoloso non pensare a pace, ulivi, colombe e serenità. Non dopo l’annuncio di altri quindici giorni di zona rossa, che non significano, non solo almeno, non poter prendere un caffè, fare shopping e andare al ristorante. Significano ancora mancate entrate per chi i caffè li fa, i vestiti li vende, i ristoranti li gestisce.
Un anno di ‘emergenza’ e ancora ci siamo dentro come se fosse il primo giorno. Ancora gli uffici preposti sono in affanno per gestire le pratiche dei ristori. Ancora l’Inps parla di ‘tempi congrui’ per rispondere a una richiesta di cassa integrazione. Chissà cosa metteranno in tavola, oggi, quei poveri cristi che aspettano da cinque mesi di vedere un euro, mentre il signor Tridico e i suoi sottoposti con la busta paga sicura il 27 del mese levano in alto i calici.
Chissà come la passeranno la Pasqua le famiglie impoverite dalle chiusure da Covid, mentre a Roma ci si inventa ogni espediente possibile e immaginabile per rendere l’accesso ai sostegni sempre più complicato. Mentre le tasse restano, sempre più alte, mentre le crisi di governo e le polemiche sui vaccini conquistano il posto d’onore nelle cronache distogliendo l’attenzione dal problema più impellente e più vero: la fame.
Un antico e popolare detto napoletano recita: “’O sazio nun crer ’o riun” (chi è sazio non crede a chi è a digiuno). Se non ci fossero i volontari, i benefattori, le reti di solidarietà dal basso saremmo a un passo dalla guerra civile, è bene saperlo. Per fortuna c’è uno stato nello Stato che fa molto di più di chi sta in alto e va ringraziato, oggi più che mai. Perché ci aiuta a tenere insieme i pezzi, a recuperare qualcuno che sta per perdersi, a fare in modo che, con un uovo di cioccolata e un sacchetto di cibo, si possa continuare a sperare.
Che “l’anno prossimo sarà diverso”? Magari, ma se questi sono i presupposti è bene non fare pronostici. E allora ci accontentiamo di uno ‘scusateci’, invece che del solito ‘auguri’: sarebbe già un bel segnale per distendere il clima. Ma abbiate il coraggio di dirlo, almeno.
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