Operaio ucciso e sciolto nell’acido: novant’anni a tre ras dei Polverino

Pianura. Venticinque anni fa l’omicidio di Giulio Giaccio, ammazzato per uno scambio di persona

NAPOLI – A distanza di 25 anni dal brutale omicidio di Giulio Giaccio, la giustizia riprende in mano un caso che ha scosso la cronaca giudiziaria partenopea. Il gup di Napoli, Fabio Provvisier, ha emesso una sentenza storica, condannando a 30 anni di carcere tre imputati per il rapimento, l’omicidio e la successiva distruzione del cadavere del giovane, ucciso la sera del 30 luglio 2000. Giulio Giaccio, all’epoca 26enne, stava rientrando nella sua abitazione nel quartiere di Pianura, nell’area occidentale di Napoli, in compagnia di un amico. Secondo la ricostruzione fornita dalla magistratura, il giovane fu avvicinato da alcuni individui travestiti da poliziotti. I rapitori, facendo leva sull’apparenza istituzionale, sequestrarono Giulio, ignorando le sue ripetute proteste in cui negava di chiamarsi Salvatore – nome con cui veniva identificato erroneamente.

L’amico, testimone dell’accaduto, raccontò come il giovane cercò invano di precisare la sua identità. Tuttavia, le sue parole caddero nel vuoto: la decisione dei malviventi fu irrevocabile. Con un colpo di pistola alla nuca, Giulio venne ucciso, e, in un gesto finalizzato a cancellare ogni traccia, il cadavere venne successivamente sciolto nell’acido. La tragica dinamica venne alla luce solo grazie alla testimonianza dell’amico, che fece immediatamente sapere alla famiglia quanto accaduto, inducendola a sporgere denuncia per rapimento. Le indagini, avviate fin dai primi giorni dopo il tragico evento, si sono sviluppate in un lungo iter processuale, segnato da numerosi colpi di scena e rivelazioni.

Un ruolo decisivo è stato svolto da Salvatore Simioli, un boss pentito, le cui dichiarazioni hanno permesso di far luce su numerosi aspetti del caso, fino ad oggi rimasti oscuri. Grazie alle sue rivelazioni, le autorità sono riuscite a ricostruire una dinamica complessa che vedeva coinvolti diversi membri di un commando criminale, legato, in particolare, al clan Polverino. Oltre ai tre condannati, Raffaele D’Alterio, Luigi De Cristofaro e il boss pentito Salvatore Simioli – cui è stata riconosciuta una responsabilità diretta nel rapimento, nell’omicidio e nella distruzione del cadavere – le indagini hanno individuato altri potenziali esecutori: Salvatore Cammarota, ritenuto il mandante deciso (“colui che voleva vedere morto l’amante della sorella” di un camorrista), insieme a Carlo Nappi e Roberto Perrone. Sebbene i secondi non siano stati condannati in questa fase, la ricostruzione del delitto fa emergere una rete criminale complessa e articolata. Il verdetto del gup e il significato della sentenza.

Con la nuova decisione, il gup Fabio Provvisier ha condannato i tre imputati a 30 anni di carcere, una misura che, pur non potendo cancellare il dolore di una famiglia dilaniata, rappresenta un significativo passo avanti nella lotta contro la criminalità organizzata e nelle battaglie per la verità e la giustizia. L’avvocato Alessandro Motta, che assiste legalmente la famiglia Giaccio, ha commentato la sentenza dichiarando: “Giustizia è fatta”. Con la condanna definitiva dei responsabili, si chiude un doloroso capitolo che ha segnato indelebilmente la memoria collettiva. Rimane comunque il ricordo di un giovane di 26 anni, la cui vita è stata brutalmente spezzata, e la consapevolezza che, nonostante il tempo, la ricerca della verità e della giustizia non si arrende mai.
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