Un nuovo studio guidato dall’Università di Padova ha usato le stelle di neutroni, i laboratori naturali più estremi dell’universo, per testare l’ipotesi di una quinta forza fondamentale. La ricerca, pubblicata su Physical Review Letters, ha dimostrato come il raffreddamento di questi oggetti compatti possa rivelare indizi su nuove particelle e interazioni che il Modello Standard della fisica non riesce a spiegare.
Una stella di neutroni si forma dal collasso di una stella massiccia. Il risultato è un residuo incredibilmente denso, con una massa superiore a quella del Sole concentrata in un diametro di poche decine di chilometri. Al suo interno, la pressione fonde protoni ed elettroni in neutroni, creando uno stato della materia irriproducibile sulla Terra. Proprio per queste caratteristiche estreme, sono considerati laboratori naturali unici.
Sebbene le quattro forze fondamentali descrivano gran parte dell’universo, appaiono insufficienti a spiegare fenomeni come la materia oscura, l’energia oscura o le discrepanze nella misura dell’espansione cosmica. Da queste lacune nasce l’ipotesi di una quinta forza, un’interazione aggiuntiva che potrebbe agire su scale microscopiche, sfuggendo agli esperimenti tradizionali.
Lo studio, una collaborazione tra le Università di Padova, Bari, Sydney e il laboratorio tedesco DESY, ha esplorato proprio questa possibilità. L’idea è che, se esistesse una nuova particella legata a questa forza, influenzerebbe il modo in cui una stella di neutroni disperde il suo calore nello spazio. I ricercatori hanno quindi analizzato le osservazioni di stelle isolate, come le ‘Magnifiche Sette’.
Se queste particelle ipotetiche trasportassero energia verso l’esterno, la stella si raffredderebbe più rapidamente del previsto. Questa deviazione dalla curva di raffreddamento standard diventa un segnale misurabile, un’impronta indiretta di una fisica sconosciuta.
Il lavoro ha mostrato che i vincoli ottenuti con le osservazioni astronomiche sono fino a un milione di volte più stringenti rispetto alle misure ottenute nei laboratori terrestri. Come ha spiegato Edoardo Vitagliano, primo autore dello studio, ‘se una nuova forza agisse a distanze inferiori allo spessore di un capello umano, sarebbero proprio le stelle di neutroni a fornirci gli indizi più affidabili per scoprirla’.
La conferma di una simile interazione avrebbe implicazioni enormi. Potrebbe offrire una via per comprendere la natura della materia oscura o suggerire l’esistenza di dimensioni extra dello spazio-tempo, trasformando la nostra visione del cosmo.
Lo studio di Padova, quindi, non fornisce una risposta definitiva, ma stabilisce una metodologia potentissima che unisce astrofisica e fisica teorica. Le stelle di neutroni si confermano strumenti preziosi, capaci di sondare aspetti della realtà inaccessibili sul nostro pianeta e di guidarci verso una comprensione più profonda delle leggi che governano l’universo.





















