di Paola Adragna
Roma, 27 apr. (LaPresse) – Tra i borghi arroccati sui monti Sibillini, c’è un cuore che pulsa. La Sibilla Appenninica dimora in una grotta in cima al monte che porta il suo nome, ormai non più accessibile. Il mito di questo oracolo ha affascinato, e affascina, curiosi e viaggiatori. Ma non è il suo, il battito che si percepisce.
È quello di Nadia, Fabrizio, Marco, Mirella, Chiara, Gaetano. E la lista potrebbe essere ancora lunga. Uomini e donne, nati qui o venuti da lontano, con un obiettivo comune: innamorati di questa terra e convinti che possa rifiorire, hanno deciso di non abbandonarla. Anche dopo il terremoto del 2016, che non ha lasciato vittime ma ha dato una bella batosta alle loro attività.
“Con Lui si deve convivere. Lo facciamo da quell’agosto, ancora di più da quell’ottobre. Ma questo non ci spaventa. Ci siamo rimboccati le maniche dal giorno dopo”, racconta Orietta Varnelli, ceo dell’azienda di famiglia che dal 1868 distilla liquori. A Muccia, la produzione è stata ferma due settimane, il tempo di rimettere lo stabilimento in sicurezza. E via, perché la calamità naturale diventi un’occasione per rilanciare un territorio su cui troppo spesso si sorvola.
Federico Maccari, amministratore delegato di Pasta di Camerino, ha pensato la stessa cosa quando il giorno dopo la scossa ha annunciato un nuovo piano di investimenti. “Un segnale importante per gli abitanti di questa città. ”Siamo stati feriti ma non siamo morti, possiamo e dobbiamo resistere”. Così la sua azienda ha ampliato lo stabilimento, praticamente raddoppiato i dipendenti e lanciato una nuova linea di pasta. Ora è la terza azienda produttrice in Italia. “Il mio sogno era fare la pasta all’uovo come quella di mia mamma”, racconta Gaetano, padre di Federico e fondatore dell’azienda. E soprattutto stakanovista della pasta all’uovo. “Entro in azienda alle 4 e vado via alle 9 di sera. A casa mia impastare era una festa e qui, per me, lo è ancora”, racconta con gli occhi pieni di orgoglio ed emozione.
La stessa che attraversa lo sguardo di Fabrizio Monterotti, a capo del salumificio che porta il suo nome, un desiderio che ha coltivato da quando, da ragazzo, ha imparato a tenere in mano un coltello nella macelleria dove faceva il garzone. Oggi produce il tipico salame spalmabile marchigiano, il ciauscolo, e tutti i salumi tradizionali, che lascia stagionare appesi al soffitto di un caveau, importanti e curati come fossero le banconote della zecca di Stato.
Ogni prodotto, in questa azienda come nelle altre, è fatto con materie prime 100% italiane e, per la maggior parte, della zona. “Amo questo territorio e provo a valorizzarlo al meglio”, spiega Fabrizio. Anche Marco Scolastici, 30enne con alle spalle una laurea in economia presa a Roma, ha deciso di tornare a Pieve Torina e intraprendere la strada del pastore e produttore di formaggi. “Ho riscoperto l’attività di famiglia dopo l’università. E ora metto tutto me stesso per il benessere delle mie pecore e la qualità dei miei prodotti”. Come fa Roberto Filippo Di Mulo con le mucche del suo allevamento robotizzato.
Ma anche chi nelle Marche è capitato – come Mirela Ghimis, chef del bioagriturismo La Conca dove amalgama la cucina locale alle tradizioni della sua Romania, o Chiara Russo e Marco Mani, che alla fine di mille peripezie hanno aperto Amargi, un agriturismo che si dedica soprattutto alle api e alle erbe officinali – si è innamorato dei sentieri del parco dei monti Sibillini e del cibo di quest’area racchiusa tra le province di Fermo, Ascoli Piceno e Macerata. E insieme a chi qui ci è nato, è diventato ambasciatore della bellezza e della qualità locale.
“Andarsene sarebbe stato più facile”, ammette Nadia Buratti, che in cima a Montemonaco ha aperto Le Castellare e gode, insieme ai suoi ospiti, di una vista mozzafiato sul monte Vettore. “Invece noi non molliamo, Insieme”. Già prima del terremoto le strutture ricettive e i ristoranti avevano iniziato a fare rete fondando l’associazione Sibillini Sapori e Segreti, ora impegnata, in prima linea coi produttori locali, per la rinascita.
Nadia, Fabrizio, Marco, Mirela, Chiara, Gaetano. Sono loro la resilienza di questo territorio. E ora l’unità è la via per ripartire. Dai Sibillini.