CITTA’ DEL VATICANO – Stracolme e violente. Sono così le carceri italiane, luoghi che avrebbero solo bisogno di un bagno di umanità. Con i dipendenti del ‘Regina Coeli’ Papa Francesco denuncia la condizione di molti detenuti e invoca il reinserimento per tutti: perché una pena senza speranza “non serve”. Non può migliorare una persona che si esce “peggio di come era entrata“.
Carenza di personale e sovraffollamento cronico rischiano di “vanificare” il faticoso e delicato lavoro di collaborazione tra i diversi servizi nel carcere.
A gennaio anche il Guardasigilli Alfonso Bonafede ha parlato di una “situazione drammatica” nelle nostre carceri, piegate da un indice di sovraffollamento del 127,10%.
Nel 2018, ci sono stati 61 suicidi di detenuti e quattro suicidi di agenti di polizia penitenziaria, oltre a quasi 4mila eventi critici: 473 ferimenti, 3.331 colluttazioni, due tentati omicidi e due vere e proprie rivolte in carcere.
Doppia, per Bergoglio, è la pena che sconta il recluso: punizione e sofferenza
Per questo chiede che ci siano “attenzione e umanità”. Il carcere è un luogo dove tutti, polizia penitenziaria, cappellani, educatori e volontari, sono chiamati al “difficile compito di curare le ferite” di chi, per errori fatti, si trova privato della libertà.
Quello che serve, è avere la consapevolezza che molti detenuti “sono povera gente, non hanno riferimenti, non hanno sicurezze, non hanno famiglia, non hanno mezzi per difendere i propri diritti, sono emarginati e abbandonati al loro destino“. Per la società invece sono solo “individui scomodi, uno scarto, un peso“.
C’è una domanda che Bergoglio si pone e aiuterebbe molto chi deve occuparsi dei detenuti: “‘Perché loro e non io?’. Io avrei potuto essere lì perfettamente, e il Signore mi ha dato una grazia che i miei peccati, le mie mancanze siano state perdonate, non viste, non so… ma ho sempre avuto la sensazione, quando entravo nel carcere, di pensare ‘Perché loro e non io?“. (LaPresse)