Una direzione fiume, che va avanti per quasi dieci ore, e pochi punti fermi. Il Pd resta – nessuno scioglimento né rivoluzioni sul simbolo – e prova a resistere “all’opa ostile” in atto contro la sua esistenza. Enrico Letta guarda ai 15 anni passati dalla fondazione del partito e, anche all’indomani della sconfitta, vede una “storia di successo”.
Il leader riconosce la vittoria a FdI e, pur parlando di “risultato non catastrofico”, prova a mettere a fuoco gli errori fatti. “Fallito” l’obiettivo di “non essere il partito solo di coloro che ce la fanno”. “Intrappolati nel binomio Draghi sì/Draghi no”. Incapaci di cambiare la legge elettorale e di portare a casa un sistema di alleanze, “unica possibilità per andare a vincere”.
Adesso, è convinto Letta, il Pd “deve vestire subito i panni dell’opposizione”, perché questo è il mandato affidato dagli elettori. Il segretario chiede ai suoi un’opposizione “molto determinata, intransigente e costruttiva, non consociativa” e manda un messaggio chiaro, dentro e fuori il partito: “Dobbiamo sapere che quando questo governo cadrà dovremo chiedere subito elezioni anticipate, senza governi di salvezza pubblica”, scandisce.
Nei 72 interventi che si susseguono al Nazareno, in tanti identificano nell’aver governato senza aver ottenuto un mandato popolare ma per “responsabilità nei confronti del Paese”, uno dei motivi che hanno portato il Pd a perdere consenso. “Potevamo dire di no a Conte nel Conte bis e a Mattarella per il Governo Draghi, ma il problema non è aver detto sì – teorizza Andrea Orlando – è aver fatto diventare il Governo la nostra identità. Noi andiamo al Governo con Monti e inventiamo l’agenda Monti, andiamo al Governo con Draghi e creiamo l’agenda Draghi”.
“Abbiamo sostituito l’elaborazione intellettuale con il saper governare. Quando si rompe un tubo, si chiama l’idraulico, noi siamo diventati l’idraulico della politica”, la metafora di Anna Ascani. “Abbiamo trasformato il Pd, nella percezione degli elettori, nel partito della tutela dello status quo quando doveva essere l’opposto, il partito del cambiamento, delle riforme”, sintetizza Matteo Orfini. Abbiamo salvato il Paese, ma svilito il Pd, il refrain dei dem.
Per ripartire, stando ai più, serviranno “identità e orgoglio” e “un congresso vero, che parli al paese e non al nostro ombelico”. Letta traccia la rotta: il percorso di rifondazione deve avere “tempi certi” e arrivare al traguardo con la fine dell’inverno e l’inizio della primavera. Intorno a metà marzo, è la previsione, al Nazareno ci sarà un nuovo segretario. Stefano Bonaccini, che in direzione non interviene, condivide.
“Tempi certi e ragionevoli, perché il Paese ha bisogno di un Governo ma anche di un’opposizione pienamente in campo”. E se l’ala più a sinistra del partito avrebbe preferito avere più tempo perché “un congresso straordinario non può tradursi in tempi e regole ordinarie”, alla fine la relazione del segretario passa con un solo voto contrario e due astenuti. Nel merito Letta chiede un confronto “profondo” che apra il Pd e lo consegni alle nuove generazioni, “senza essere un referendum su Conte o su Calenda”.
Le anime dem concordano sulla necessità di partire dall’identità ma le distanze su alcuni temi restano. A puntare il dito sono soprattutto le donne. “Abbiamo subito una sconfitta pesante, non basta dire che siamo il primo partito dell’opposizione – attacca Monica Cirinnà, che non tornerà in Parlamento – Troppi di noi non hanno più la credibilità di intestarsi di un percorso di rinnovamento, mi ci metto io per prima. Dobbiamo fare un passo indietro, non parlo di rottamazione ma di fare un passaggio di testimone tra generi e generazioni”.
Parla di “sconfitta catastrofica” Alessia Morani, che chiede le dimissioni della coordinatrice della conferenza delle donne Cecilia D’Elia. Un’accusa pesante arriva anche dalla presidente Pd, Valentina Cuppi. La sindaca di Marzabotto, terza in lista nel suo collegio, non è stata eletta e si sfoga: “Questo è un partito maschilista in cui se si vuole contare bisogna piegarsi alla logica delle correnti”. Letta riconosce il passo indietro rappresentato dal misero 30% di elette in Parlamento e propone di “non tornare indietro” sulla capigruppo, confermando due donne alla guida di deputati e senatori.
Saranno i gruppi a decidere, la prossima settimana, e in campo resta la possibilità di lasciare al proprio posto Simona Malpezzi e Debora Serracchiani anche in vista del congresso. A sera, dopo dieci ore di discussione, Letta si dice soddisfatto. “Le elezioni le hanno perse tutti tranne FdI ma c’è un unico partito che ha iniziato la catarsi e una riflessione sul voto – dice – Noi non abdicheremo da questa dimensione collettiva”.
La sconfitta – “politica più che numerica”, secondo l’analisi fatta da Luigi Zanda – resta, ma la ‘fumata bianca’ arrivata sulle quattro fasi del congresso rassicura il Nazareno. Nei prossimi giorni Letta farà una proposta più stringente sui tempi alla direzione. “Abbiamo perso e assumiamo la responsabilità di questa sconfitta io per primo, ma abbiamo un futuro. Innanzitutto vestiamo subito le vesti dell’opposizione, nel Paese e in Parlamento. L’opposizione – è convinto il segretario – ci farà bene, farà bene al Pd”.(LaPresse)