ROMA – Il governo manda in quiescenza a 64 anni e assegno ridotto. Nodo da risolvere con i sindacati che chiedono la flessibilità in uscita. Ma la questione sarà dura da risolvere
Il confronto
Altro nodo da sciogliere per il governo: la richiesta da parte dei rappresentanti di categoria è la flessibilità in uscita ai 62 anni o 41 anni di contributi a prescindere dall’età, con la Cgil che chiede i 20 anni di contributi. Ma a tali proposte il Ministero dell’Economia nicchia, ritenendole “troppo costose”. E il governo glissa non dando ancora alcuna risposta in merito. Al contrario il presidente dell’Inps Pasquale Tridico che ha indicato “un sistema che preveda flessibilità in uscita a 64-65 anni con ricalcolo contributivo”.
Lo spetto della Fornero
E torna lo spetto della riforma Fornero. Sempre che il governo duri altri tre anni, resterà in vigore, così come previsto dal precedente esecutivo. Quota 100 fino al 2021, per poi dal 2022 tornare alla riforma Fornero. Intanto la sottosegretaria al Lavoro Francesca Puglisi ha suggerito “un’uscita a 64 anni con 35 di contributi, senza ricalcolo né penalizzazioni”, bocciata dai sindacati. Domani ci sarà un nuovo incontro col Ministro del Lavoro, Nunzia Catalfo e la prospettiva che il Governo chiarisca su eventuali posizioni in merito alla questione pensioni.
Quota 102
E’ la posizione su cui appare fermo l’esecutivo con ricalcolo contributivo delle pensioni erogate con la misura. In pratica, per uscire in anticipo dal lavoro, a 64, 65 o 66 anni e non a 67 come prevede la pensione di vecchiaia “occorre accettare il calcolo contributivo della pensione. Una forte riduzione di assegno, soprattutto per chi, aspettando l’età per la pensione di vecchiaia, avrebbe diritto al calcolo misto”. Una situazione su cui difficilmente i sindacati daranno il loro placet in quanto la riduzione della spesa previdenziale passa, secondo le loro proposte, dalla “separazione tra assistenza e previdenza”. Bisognerebbe dar vita ad una ‘commissione ad hoc’ proprio per ovviare al problema con riduzione della spesa dirigendo così le misure assistenziali non più all’Inps ma allo Stato.