«Per noi uomini e per la nostra salvezza…si è fatto uomo». Anche questo affermiamo ogni volta che recitiamo il Credo Niceo–Costantinopolitano. Parole il cui Mistero farebbe palpitare il nostro animo se solo fermassimo il tempo per meditarle, se solo ci fermassimo per assaporarle. Ma siamo sempre di corsa, di fretta. Dal lunedì alla domenica, giorno che ha nel suo nome l’essere dedicato al Signore, ma che un progredire disumano ha ormai reso pienamente lavorativo.
Eppure, questo Mistero dell’Incarnazione che ogni Natale prende spazio e ci illumina la via verso la Pasqua, che prima ne ha svelato la grandezza, necessita di un momento. Il Signore «che viene» necessita di almeno un momento. Anche se a Natale, come di domenica, si lavora. Anche se la domenica e il giorno di Natale sono diventati l’unico giorno per fare la spesa settimanale, per fare acquisti, per giustamente divertirsi ritrovandosi con gli amici e la famiglia.
Ma può esserci per noi cristiani un Natale senza Incarnazione? Un Natale senza Cristo? Può il Signore «che viene» trovare il «nostro» tempo saturo, senza nemmeno un momento per ringraziarlo, per parlargli, per godere ancora attraverso di Lui dell’abbraccio del Padre? «Per noi uomini e per la nostra salvezza…si è fatto uomo», affermiamo nel Credo, e lo facciamo anche per ricordarci la possibilità di far fiorire ogni «apparente» deserto, ogni apparente momento di aridità del quotidiano. Camminando insieme al Signore, all’Emmanuele annunciato dai profeti. Camminando con Lui anche mentre, di domenica o a Natale, lavoriamo.
Anche mentre, di domenica o a Natale, facciamo la spesa e prepariamo il ragù. Mentre accogliamo gli amici e i parenti. Camminando con Lui, come fecero gli apostoli, che videro i ciechi recuperare la vista, gli storpi camminare, i lebbrosi guariti, i sordi riacquistare l’udito, i morti risuscitare, ai poveri predicata la buona novella (Mt 11). Loro, gli apostoli, Pietro compreso, si sarebbero poi scandalizzati del Signore, abbandonandolo. Non potevano sopportare che quella carne che aveva compiuto tanti miracoli fosse «finita» in croce. E noi? Per noi, credere in colui che è vero Dio e vero uomo, è possibilità di gioia o di scandalo? Gesù compiva miracoli nel suo dirigersi verso Gerusalemme, verso la Sposa che aveva rinnegato il suo Dio, l’amato. Per lei avrebbe offerto la sua vita, la sua carne, divenendo con lei «una sola carne» (Gen 2). Per noi uomini e per la nostra salvezza sarebbe morto in croce.
Grande Mistero è quello del Natale, grande Mistero è quello dell’Incarnazione: della potenza che sceglie la fragilità, della onniscienza che sceglie la coscienza, della regalità da sempre che sceglie la povertà, della verità dell’amore che sceglie la creaturalità, della giustizia che cede il passo alla libertà. Di un Dio che «per noi uomini e per la nostra salvezza…si è fatto uomo».
Troviamo un momento per aprire la porta della nostra vita a questo Dio fattosi uomo, e se il
tempo sembra chiudersi a Dio, cerchiamo gli spiragli che gli consentano di entrare. E non
sentiamoci soli in questa prova, se non riusciamo a vedere questi spiragli, ricordiamoci della Chiesa, della comunità alla quale apparteniamo e chiediamo a lei di raccontarci dell’annuncio dell’angelo a Maria, dell’amore di Giuseppe per Dio e la sua sposa, dell’affidarsi dei pastori e del viaggio dei magi. Bussiamo alle porte delle nostre chiese e chiediamo al parroco, in qualsiasi momento, di raccontarci chi è il Dio Creatore che si è incarnato, chi è il «Ninno» di Betlemme che la Chiesa tutta ancora attende e che porterà cieli nuovi e terra nuova, una città santa dove ogni lacrima sarà tersa. Buon Natale a tutti.
Francesco Marino, vescovo di Nola