NAPOLI – Ras di Miano pestato e torturato in carcere, sei agenti della polizia penitenziaria agli arresti domiciliari e due sospesi. E’ quanto risulta al termine dell’operazione lunedì dal personale della polizia di Stato di Reggio Calabria in seguito alle indagini svolte dalla Procura della Repubblica locale, diretta dal procuratore Giovanni Bombardieri. I poliziotti della Squadra Mobile hanno dato esecuzione a un’ordinanza di applicazione di misure cautelari, disposta dal gip Valerio Trovato del Tribunale reggino, a carico di otto appartenenti alla polizia penitenziaria in servizio presso la casa circondariale ‘Panzera’ di Reggio Calabria. In particolare, per sei di loro è stata applicata la misura cautelare degli arresti domiciliari, mentre per gli altri due la misura interdittiva della sospensione dall’esercizio di un pubblico ufficio.
Ai domiciliari sono finiti Stefano La Cava, classe 1974, nato a Firenze e residente a Reggio Calabria, comandante della Penitenziaria; Fabio Morale, classe 1977, di Messina; Domenico Cuzzola,45enne di Reggio Calabria; Pietro Luciano Giordano, 55enne di Villa San Giovanni; Placido Giordano, 51enne di Taurianova; Alessandro Sgrò 39enne di Sant’Agata Militello. Sospensione dall’esercizio di pubblico ufficio per i colleghi Alessandro Guglietta, 53enne di Sant’Agata Militello, e Carmelo Vazzana, 52enne di Reggio Calabria.
Sono tutti ritenuti responsabili, a vario titolo, di pestaggio e tortura nei confronti di Alessio Peluso, di Miano, ras dei reduci del clan Lo Russo.
I fatti contestati risalgono al 22 gennaio 2022 e vedono come parte offesa ’o niro (com’è conosciuto il 30enne negli ambienti criminali dell’area nord) che aveva messo in atto una protesta, rifiutandosi di far rientro nella cella dopo aver usufruito del previsto passeggio esterno.
In risposta a tale condotta, secondo il capo di imputazione ipotizzato dalla Procura di Reggio Calabria, gli indagati hanno condotto illegittimamente il detenuto in una cella di isolamento, senza alcuna preventiva decisione del Consiglio di disciplina – ovvero senza alcuna previa decisione adottata in via cautelare dal direttore – serbando gratuite condotte di violenza e di sopraffazione fisica che hanno cagionato al detenuto acute sofferenze fisiche mediante più condotte e sottoponendolo ad un trattamento inumano e degradante per la dignità della persona. Nello specifico, secondo la ricostruzione operata allo stato degli atti e fatti salvi i necessari successivi accertamenti di merito, “le condotte si sostanziavano nel colpire ripetutamente il detenuto con i manganelli in dotazione di reparto, ma anche con dei pugni – recita la nota della Procura – facendolo spogliare e lasciandolo seminudo per oltre due ore nella cella dove era stato condotto”.
Per coprire tali condotte, ed evitare conseguenze per una eventuale denuncia da parte del detenuto, il comandante del Reparto, Stefano La Casa, avrebbe poi redatto una serie di atti (relazione di servizio, comunicazione di notizie di reato ed informative al direttore del carcere), in relazione ai quali gli vengono contestati i delitti di falso ideologico commesso da pubblico ufficiale in atto pubblico, di falso ideologico commesso da pubblico ufficiale in atto pubblico per induzione, di omissione d’atti d’ufficio e di calunnia. Il gip Trovato ha rigettato la richiesta di misura cautelare per Stefano Munafò, Angelo Longo, Diego Ielo, Antonio Biondo, per il medico Sandro Parisi, Egidio Vincenzo Catalano e Vincenzo Catalano. Nel carcere di Reggio Calabria Alessio Peluso era arrivato in seguito a un episodio che lo vide protagonista nel penitenziario di Frosinone, dove il 19 settembre del 2021 esplose colpi di arma da fuoco contro un gruppo di detenuti con cui aveva litigato il giorno prima.
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