Ci sono dei musicisti, e degli artisti in generale, che emanano vibrazioni particolari, al di la delle cose che fanno, intorno a se, volenti o nolenti, attirano persone, e appassionati, e anche quando non vorrebbero, finiscono per diventare un punto di riferimento. Tra questi c’è sicuramente il chitarrista Pietro Condorelli.
Condorelli, è quasi un mistico, coltiva il silenzio e l’introspezione, osserva e poi traduce tutto nella sua musica. È da anni un punto di riferimento, un musicista centrale per chiunque desideri avvicinarsi allo studio e all’ascolto del jazz in Campania.
Ha vinto premi (Nel 1997, ha vinto il referendum della critica “Top Jazz” come miglior nuovo talento), ha suonato con formazioni importanti della storia del Jazz/Rock italiano come gli Area dal 1994 al 96, ha collaborato, condiviso il palco e progetti didattici con musicisti di primo livello (Mike Stern, Mick Goodrick, Jim Hall, Joe Diorio, Lee Konitz, Franco Cerri, Gary Bartz, George Cables, Jimmy Woode, Fabrizio Bosso, Charles Tolliver, Bob Mover e Steve La Spina).
Da anni è titolare della cattedra di chitarra jazz presso il Conservatorio San Pietro a Majella di Napoli.
La prima volta che lo vidi in azione fu all’ Otto Jazz Club di Napoli, il club del compianto Enzo Lucci, quella sera del 1988, sul palco c’erano anche il batterista Antonio Golino, Franco Coppola e Antonio Balsamo ai sassofoni contralto, e Angelo Farias al basso elettrico. Erano serate misteriose, riservate a un pubblico di appassionati e musicisti, che trovarono nel club di Salita Cariati, una sorta di “piccolo Minton’s napoletano”.
L’atmosfera era bellissima, carbonara e quasi esclusiva, dopo avere parcheggiato a fatica, tra i vicoli dei quartieri spagnoli, o lungo il corso Vittorio Emanuele di Napoli, si correva ad accaparrarsi un tavolo al club. L’ingresso sapeva subito di jazz, alle pareti fotografie, poster, manifesti d’epoca con le immagini dei nostri eroi: Parker, Basie, Ellington, Mingus…
Al primo piano ad aspettare i clienti Maria Lucci, la sorella di Enzo, una delle donne dal sorriso più bello e accogliente, che abbia mia incontrato nella vita, un saluto, due chiacchiere con lei, il numero del tavolo e la sua raccomandazione: ” Giù c’è Enzo vai, vai…”.
Enzo, il mitico Enzo Lucci, il gestore e il proprietario del club, un uomo generoso, cordiale e sempre disposto all’ ascolto, un vero operatore culturale, il nostro Henry Minton. Enzo era un appassionato di musica, uno dei primi Dj italiani, e per Dj intendo nel suo caso, uno in grado di fare ballare centinaia di persone alternando classici della musica Dance a James Brown, Marvin Gaye, Wilson Pickett e Aretha Franklin.
Enzo era sempre li, immutabile, alla fine delle scale che dal primo portavano alla sala vera e propria, dietro il suo banco a preparare cocktails e birre, instancabile “in direzione ostinata e contraria”. Una parola buona per tutti, qualche momento di amarezza, ma sempre pronto a raccogliere nuove sfide, “li dobbiamo portare dalla nostra parte, ci vuole pazienza” mi ripeteva spesso.
La sala, come un tuffo nel mio cuore è ancora stampata nel mio ricordo: pareti rosse, tavolini piccoli di colore nero, alle pareti altre foto dei giganti del jazz, e sul fondo il mitico palco. Uno dei pochissimi ad avere un pianoforte, un amplificatore per il basso sempre a disposizione dei musicisti. Un luogo mito, un ritrovo di culto per gli appassionati, che andavano li per sentire dal vivo il jazz.
Il guru di quel luogo era Antonio Golino, un incredibile batterista, un maestro ferreo e esigente, al suo fianco quasi sempre Franco Coppola, un musicista poco conosciuto al grande pubblico, un vero maestro del sax alto, e spesso anche Antonio Balsamo, altoista, direttore d’orchestra e arrangiatore, tra i primi a suonare jazz ad alto livello nella città di Napoli. Intorno a questo nucleo, si alternavano giovani musicisti: Pietro Condorelli, che era praticamente fisso, i Fratelli Aldo e Angelo Farias, il pianista Franco De Crescenzo, e poi via via tutti gli altri.
Anni bellissimi, irripetibili, un’ altro mondo, un’ altro tempo, nel quale la gente si dava appuntamento per consumare cinema, teatro e musica. Di questi tempi al netto della movida alcolica, e della deriva mangereccia che accomuna gusti e abitudini dei fine settimana del nostro tempo, quel periodo sembra quasi l’ età dell’oro.
Fu una stagione importante, per il jazz e per la sua divulgazione, quella a cavallo tra la fine degli anni ’80 e i primi anni del decennio successivo: A aprire le danze ci pensò Round Midnight nel 1986, un film dedicato alla figura del pianista Bud Powell diretto da Bertrand Tavernier, con protagonista, e attore principale, uno straordinario Dexter Gordon.
Di li a poco, nel 1988, uscì ”Bird” di Clint Eastwood, dedicato al sassofonista Charlie Parker, seguito da Mo’ Better Blues del 1990, diretto da Spike Lee, con protagonista Denzel Washington.
In televisione intanto Arbore proponeva tutti i giorni la trasmissione “DOC”, – Musica e altro a denominazione d’origine controllata – un programma televisivo musicale andato in onda su Rai 2 dal 1987 al giugno 1989. Condotto da Renzo Arbore, Gegè Telesforo e Monica Nannini, quella trasmissione ha contribuito a formare il gusto dei ragazzi dell’epoca, ha favorito la nascita di iniziative culturali, festival, jazz club, e ha persino indirizzato la carriera di molti musicisti.
Una trasmissione unica e forse irripetibile, che ha ospitato numerosi artisti di fama internazionale tra cui: James Brown, Dizzy Gillespie, Miles Davis, Solomon Burke, Rufus Thomas, Pat Metheny, José Feliciano, Manhattan Transfer, Chet Baker.
La televisione come mezzo didattico e divulgativo, la Rai al centro di un progetto di caratura internazionale, che guardava alla formazione del pubblico e non agli ascolti. In quel clima andarono formandosi numerosi musicisti anche in Campania, tra di loro diverse eccellenze che tutt’oggi trovano spazio in importanti festival nazionali ed esteri.
Pietro Condorelli già allora era attivissimo sia live che in sala di registrazione, tra i suoi dischi più interessanti: “Sonora Art Quartet e Jerry Bergonzi” del 1989, registrato a Boston, “Sonora Art Quartet e Jerry Bergonzi 2” del 1992, “Guitar Style Journey” del 1997, con George Cables, Jimmy Woode, Giulio Capiozzo, “Opening” del 1998, con Enzo Carpentieri e Stefano Senni, “On My Browser” del
1998, “Quasimodo” del 2000, con Fabrizio Bosso, “Easy” del 2003, ancora con il trombettista Fabrizio Bosso, “Organ Trio Vol. 1 Play Modern Jazz Standards” del 2006, con Vito Di Modugno e Massimo Manzi, “Organ Trio Vol. 2 with Guests” del 2009, “East Side” del 2010 con Jerry Bergonzi e Fabio Morgera, “Wildcats, Difficult to Bo ed Altre Storie” del 2010,
“Jazz Ideas and Songs” del 2016, “Visions” del 2022, “Here There and Blue” del 2023 con Sergio Forlani e l’ultimo uscito “Native Language” del 2024 in trio con due ottimi musicisti: Antonio Napolitano al contrabbasso e Raffaele Natale alla batteria.
Ho raggiunto Pietro al telefono e ne ho approfittato per fargli un po’ di domande
Quando e come hai scoperto la chitarra e il jazz?
In due momenti differenti, ho iniziato a suonare verso 12 anni, sulle prime sostanzialmente ad orecchio, poi progressivamente ho preso alcune lezioni di musica. Prima dei 14 anni ho incontrato il Jazz ascoltando uno special su “A love supreme” di John Coltrane trasmesso da Radio Rai, ma in realtà ascoltavo musica jazz sin da bambino, la mia balia era fidanzata con un trombettista di jazz ed ascoltava dischi jazz costantemente. ll mio primo amore musicalmente è stato Charlie Parker del quale ho imparato diversi assoli e tutt’ora adoro. Anche Sonny Stitt e Dexter Gordon rientrano tra i musicisti che ho amato di più, mi fermo l’elenco sarebbe troppo lungo.
Quali sono stati i tuoi musicisti di riferimento?
Sicuramente Bill Evans, poi i grandi chitarristi come Joe Pass, Barney Kessek e Wes Montgomery e successivamente John Scofield. Ho amato tantissimo anche Michael Brecker, e i pianisti Mcoy Tyner e Thelonius Monk.
Come e quando hai iniziato a studiare, e con chi?
Presi delle lezioni di chitarra classica in una scuola di musica, avevo 15 anni, successivamente ho studiato molto bene il solfeggio con Maria Pasquali, in seguito ho incontrato alcuni professionisti della chitarra classica per impostare il percorso accademico. Alcuni sono stati disastrosi, una cattiva impostazione mi procurò una forte tendinite verso i 18 anni. Altri studi invece hanno contribuito a migliorare alcuni aspetti più musicali e meno meccanici dell’esecuzione. Lo studio del jazz è cominciato da autodidatta, in compagnia del mio fraterno amico pianista Gerardo Masciandaro, cercavamo di dare risposte a ciò che ascoltavamo…e approfittavamo dei pochi testi presenti all’epoca.
Mi racconti della tua esperienza con Antonio Golino all’ Otto Jazz Club di Napoli.
Prima dell’ Otto jazz club abbiamo suonato per alcuni anni alla antica birreria Kronenburg, un locale che si trovava a Fuorigrotta, all’ interno del parco giochi Edenlandia, che ricordo come la mia prima lunga esperienza nell’ambito del mainstream jazz, in seguito ci trasferimmo definitivamente all’Otto Jazz Club. In genere suonavamo in trio io ed Antonio Golino fissi o in quartetto con Franco Coppola o Antonio Balsamo. In quegli anni di apprendistato live, attraverso la vecchia scuola “anti accademica”, ho avuto la fortuna di suonare con questi meravigliosi musicisti ed altri, a cominciare da Larry Nocella, che si unì a noi spesso. In quel periodo era frequente che i musicisti di passaggio a Napoli ci venissero a trovare per delle jam session, tra questi ricordo Dusko Gojovich, un trombettista Bosniaco, che nel corso della sua carriera ha suonato con autentici monumenti del jazz come: Chet Baker, Stan Getz e Oscar Pettiford.
Antonio Golino era una persona diretta, pochi giri di parole e molta sostanza, aveva un grande amore per il jazz, quando suonavo troppo, nel senso che magari preso dal momento eseguivo troppe note durante un assolo, mi diceva: “Pietro nel tuo cuore c’è Jim Hall, non rinnegarlo!” Aveva swing come pochi musicisti in Europa.
Ogni volta che si è trovato a suonare con grandi come Chet Baker o Dusko Gojkovic (trombettista, compositore e arrangiatore jazz di fama internazionale, nato a Jajce ex Jugoslavia, Ha suonato con molti grandi del jazz, tra cui Dizzy Gillespie, Gerry Mulligan, Stan Getz, Sonny Rollins, Lee Konitz, Chet Baker e molti altri n.d.r.) o Bob Mover (sassofonista nato il 22 marzo 1952 a Boston, Massachusetts, ha suonato come sideman per Charles Mingus al 5 Spot Café di New York n.d.r.) tutti riconoscevano lui una qualità superiore. Antonio mi manca molto…
Jazz e didattica: come si coniugano questi due mondi?
Non è un facile rapporto, il jazz si impara praticando molto con gli altri musicisti o sotto la guida di un forte leader, la parte accademica e teorica dell’insegnamento del jazz per quanto utilissima da sola non basta. I musicisti devono emancipare il proprio orecchio dal punto di vista ritmico poi armonico e melodico…in Italia si ragiona al contrario…si predilige la melodia perché siamo la patria del belcanto, o l’armonia, perché soffriamo di un pregiudizio eurocolto in cui l’Armonia è considerata la punta dell’icberg dell’evoluzione musicale.
Hai da poco pubblicato Native Language, come è nato il progetto di questo disco?
In maniera molto naturale io e Raffaele Natale, il batterista avevamo cominciato già da un anno ad allenarci assieme in duo senza basso, con lo scopo di migliorare l’interplay e la percezione dell’imprevisto, di tanto in tanto veniva a trovarci Antonio Napolitano, e quindi una di queste session decidemmo di registrare alcuni miei arrangiamenti.
Jazz e comunicazione: In che situazione siamo?
Non saprei dare una risposta convinta, ho però l’impressione che ci sia una grande confusione rispetto a 35 anni fa. All’epoca esisteva una critica specializzata che ne capiva, e in qualche modo e aiutava anche la comprensione del pubblico, che leggeva riviste musicali specializzate. Oggi non esiste più una critica competente, ed in realtà sempre meno persone leggono le riviste specializzate (quelle che ancora non hanno chiuso i battenti). Il gusto del pubblico è quindi orientato dall’immagine o dai followers, ciò genera solo disorientamento ed inconsistenza.
Nei prossimi appuntamenti con Onda Media, contiamo di riservare spazio ancora a musicisti di jazz della nuova e della vecchia generazione, che continuano con il loro lavoro ad essere un’ eccellenza della culture della nostra regione. In uno dei prossimi appuntamenti uno speciale su Antonio Napolitano, uno dei più bravi contrabbassisti italiani.