Pizzo a Secondigliano, arrestati 3 dei Cesarano

Secondigliano. Taglieggiato l’assegnatario di una casa popolare: 5mila euro per continuare a occupare l’alloggio. In manette anche Andrea, figlio del boss Giovanni, colonnello dei Licciardi

NAPOLI – Le pressioni dei signori del racket del rione Kennedy di Secondigliano sono sfociate in tre ordinanze. La Squadra mobile di Napoli ha dato esecuzione a un provvedimento di custodia cautelare in carcere, emesso dal gip del Tribunale di Napoli su richiesta della Direzione distrettuale antimafia, nei confronti di tre soggetti di Secondigliano. Si tratta di Andrea Cesarano, 28 anni, Salvatore Sibilio di 35 e Domenico Quindici di 25, ritenuti gravemente indiziati, in concorso tra loro, di più episodi di estorsione aggravata dal metodo mafioso e per conto del gruppo Cesarano.

Andrea, infatti, è figlio del più noto Giovanni Cesarano, noto come Giannin’O Biondo o come ‘O palestrato, storico esponente del clan Licciardi, di cui il gruppo che porta il suo nome, all’interno del rione Kennedy, per l’Antimafia “condividendo la pianificazione di comuni strategie di gestione delle attività illecite, costituisce una delle molteplici articolazioni che lo compongono”. Le indagini svolte dalla Direzione distrettuale antimafia nell’arco temporale che va tra novembre 2019 ed aprile 2020, hanno accertato la “sistematicità dell’attività estorsiva del gruppo criminale”.

Nel corso delle indagini ricostruiti ricostruendo una serie di episodi posti in essere in danno di commercianti ed artigiani del quartiere di Secondigliano. In particolare, in un caso la vittima è stata costretta a versare la somma di 5.000 euro per continuare ad occupare un alloggio di edilizia popolare di proprietà del Comune di Napoli, di cui era legittimo assegnatario e, successivamente, a consegnare, in occasione delle festività natalizie, pasquali e di Ferragosto, somme variabili di danaro per poter svolgere la sua attività di artigiano. Cesarano, Sibilio e Quindici risultano già detenuti per altri episodi di estorsione, commessi sempre nel quartiere di Secondigliano, per i quali, nel luglio 2020, hanno riportato sentenza di condanna di primo grado.

Qualche giorno fa c’è stato, per quella vicenda anche il processo d’Appello. La Quarta Sezione della Corte d’Appello di Napoli (presidente Luisa Toscano) si è infatti espressa nei confronti di 6 imputati accusati, a vario titolo, di tentata estorsione aggravata dal metodo mafioso. Proprio Andrea Cesarano ha rimediato 6 anni di reclusione, a fronte dei 9 anni incassati in primo grado. Roberto Massaro 4 anni, mentre Domenico Quindici, Salvatore Sibilio (entrambi raggiunti da provvedimento di custodia cautelare), Enrico De Ecclesis e Chiara Cesarano, sorella di Andrea e figlia di Giovanni, hanno incassato 3 anni, 1 mese e 10 giorni.

La donna, difesa dagli avvocati Luigi Senese e Massimo De Marco, che invece era stata condannata a 6 anni di reclusione. Secondo l’indagine della Dda due esercenti di Secondigliano avrebbero ricevuto la richiesta estorsiva per versare da dicembre 2018 in occasione delle festività natalizie ed in prossimità di quelle pasquali, complessivamente la somma di circa 600 euro, con gli importi che variavano da 50 a 200 euro. Sulla scorta dell’attività investigativa portata avanti dalla squadra mobile e dal commissariato di Secondigliano sarebbe emersa, nel corso di appositi servizi di osservazione nei pressi degli esercizi commerciali taglieggiati, una reiterata richiesta di ulteriori tangenti, in particolare la somma di 300 euro, pena la chiusura dei negozi.

E veniamo al padre di Angelo Cesarano, attualmente detenuto dopo un arresto per un’estorsione che risale al 2007. Nei fascicoli della Dda il suo nome compare più volte: nel 2000 fu tra gli indagati nell’ambito di una delle più imponenti inchieste, quella che fece finire in manette il gotha della camorra, nove famiglie malavitose della città, dalla cupola di Secondigliano alla mala di Forcella ai clan della periferia est. L’indagine ne svelò gli accordi, scellerato patto con cui si sarebbe organizzato l’attacco ai Sarno di Ponticelli piazzando un’autobomba in via Argine. Giovanni Cesarano fu condannato in primo grado all’ergastolo per la tentata strage di via Argine e 416bis, ma la condanna fu stravolta in appello: con l’autobomba Cesarano non c’entrava, venne assolto e il carcere a vita gli fu cancellato, rimediò 4 anni e sei mesi per il legame con la camorra e successivamente la scarcerazione.

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