‘Spari’ nel bunker del clan Casella: i botti come un segnale per i rivali

La camorra di Ponticelli. Le batterie di fuochi d’artificio esplose nella zona di via Franciosa. Il gruppo ha subito un pesante colpo dopo la cattura di Giuseppe Righetto e del figlio del ras Luigi Aulisio per tentato omicidio

NAPOLI – Spari in via Franciosa, ma non si è trattato di proiettili o bombe. Erano fuochi d’artificio, uno dei codici che vengono utilizzati dalle cosche comunicare.
Le batterie hanno cominciato a produrre rumori e colori nell’immediato dopo cena. Ma cosa significano? Non pare si ci fossero festeggiamenti legati a ricorrenze. Quello che è certo è che la zona è la roccaforte del gruppo Casella.

Dopo le fiammate del conflitto che li ha visti protagonisti insieme ai De Luca Bossa-Minichini, contro i De Micco-De Martino, i Casella hanno subito dei colpi pesanti, come l’arresto di Giuseppe Righetto, Peppe ‘o Blob, all’anagrafe di camorra e Nicola Aulisio, figlio del boss Luigi, per due tentati omicidi che possono essere circostanziati proprio a quest’ultimo scontro. Hanno quindi deciso di barricarsi per evitare di finire nel mirino ma questi ‘botti’ potrebbero essere un segnale teso a sottolineare il fatto che i Casella ci sono e controllano ancora il loro territorio.

Era già successo in occasione dell’agguato in cui ha perso la vita Giulio Fiorentino, uomo dei De Martino ‘XX’. Ci sono linguaggi e metalinguaggi. “Correte, hanno sparato, ci sono due persone ferite”. La telefonata fatta alla polizia era inequivocabile. D’altronde a Ponticelli di segnalazioni come questa ce ne sono spesso. Arrivarono le auto con le sirene blu intermittenti che si confondevano con quelle delle ambulanze che caricavano i feriti. La procedura è uguale a sempre, un protocollo sovrapponibile. Mettere in sicurezza la zona, evitare che curiosi possano avvicinarsi contaminando la crime scene.

Quindi i rilievi balistici, con i segnalini gialli ad indicare i reperti, come i bossoli trovati sull’asfalto, poi imbustati e portati via. I casermoni in cemento a ridosso di via Esopo avevano le finestre accese. Linguaggi. C’era chi guardava, osservava. Chi con dolore per l’accaduto, chi con la sensazione di aver scelto il posto sbagliato in cui abitare. Intanto, in un altro rione, nel vicino Conocal, qualcuno aveva piazzato in strada batterie di fuochi d’artificio. La sequenza temporale tra l’agguato e quei botti sembrò non casuale. Metalinguaggi.

Un mondo a parte fatto di simboli e codici. Un mondo a parte che ha generato anche una forma di economia parallela; e dall’economia si è passati a una ridefinizione dello stesso concetto di società. Un mondo a parte. Uno scenario di degrado e abbandono si apre allo sguardo di chi il rione lo vede solo da fuori. Le palazzine prefabbricate un tempo dipinte con colori sgargianti sono quasi tutte tornate al grigio del cemento. Sui muri qualche scritta con lo spray.

Messaggi d’amore e di odio. Macchie che su muri anonimi come quelli non danno fastidio, ma fanno movimento. Quasi allegria. Fuochi a festa nelle zone chiave, nei ‘punti caldi’ nella geopolitica criminale degli ultimi mesi. Zone che hanno spesso cambiato padrone, ma che da sempre hanno avuto un significato profondo nell’economia criminale. Nella terra del silenzio e dell’omertà si può parlare anche con luce e rumore. Dopo i botti, tra le palazzine popolari, è tornato il silenzio. C’è attesa, ma anche tensione.

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