CASAL DI PRINCIPE – Bloccarli per evitare che continuassero a rendere un incubo l’estate di alcuni commercianti, arrestarli prima che potessero radicarsi con forza nel vuoto criminale formatosi grazie alle recenti retate: per queste ragioni, il pubblico ministero Maurizio Giordano ha firmato un decreto di fermo per tre persone accusate di estorsione con l’aggravante mafiosa. I destinatari del provvedimento sono Nicola Pezzella, 60enne di Casal di Principe, ex genero del collaboratore di giustizia Carmine Schiavone (scomparso nel 2015 e cugino del capoclan Francesco Sandokan), Antonio Barbato, 47enne di Carinaro, e Giuseppe Diana, di San Cipriano d’Aversa.
Pezzella e Diana, al momento dell’arresto da parte dei poliziotti della Squadra mobile di Caserta (eseguito ieri pomeriggio) si trovavano nei loro comuni di residenza, mentre Barbato è stato raggiunto dal provvedimento nel carcere dove è recluso dallo scorso maggio, sempre con l’accusa di estorsione (ma legata ad altra vicenda giudiziaria).
Secondo quanto ricostruito dalla Dda partenopea, i tre avrebbero estorto denaro al titolare di un’attività commerciale situata nell’Agro aversano, evocando il nome dei Bidognetti.
L’inchiesta, condotta dalla Mobile, ha anche rivelato il presunto tentativo di Pezzella di prendere le redini del gruppo mafioso, rimasto senza guida dopo il blitz dello scorso novembre che ha colpito sia l’organizzazione bidognettiana che quella degli Schiavone.
Pezzella, alias ‘palummiello’, esponente storico del clan dei Casalesi (è stato condannato per mafia nel processo Spartacus), era tornato in libertà da poco tempo e, secondo la Procura, si era reinserito subito nell’attività criminale. Collaboratori di giustizia del passato, come Luigi Diana e Massimo Pannullo, hanno parlato di lui in riferimento proprio al ruolo di estorsore che aveva nell’organizzazione.
Diana nel 2006 riferì ai magistrati che Pezzella era collegato al gruppo Schiavone e che operava pure con Cesare Bianco: “Percepiva lo stipendio di 1.500 euro mensili”. Il pentito disse anche di aver appreso direttamente da Pezzella il suo tentativo di raggiungere il suocero nella località protetta dove si trovava “per farlo desistere (dal collaborare, ndr), ma fu bloccato dalle forze dell’ordine. Il suocero gli aveva mandato a dire – raccontò Diana – di collaborare anche lui, ma rispose che sarebbe rimasto per sempre fedele a Sandokan”.
Tra chi aveva attribuito a Pezzella pure l’ipotizzato coinvolgimento in fatti di sangue c’è il pentito Pannulloe: “Aveva anche compiti di killer. Fatti riferiti a me – disse ai magistrati 17 anni fa – da componenti del clan, in particolare Augusto Bianco”.
Non è da escludere che a parlare dell’attuale (presunta) operatività criminale di Pezzella siano stati i nuovi pentiti che hanno intrapreso il percorso di collaborazione con la giustizia proprio dopo i blitz dello scorso novembre.
Prima dell’ipotizzata nuova estorsione che avrebbe commesso, Antonio Barbato si sarebbe reso protagonista di altre condotte simili eseguite evocando il nome del clan dei Casalesi, tra il 2017 e il 2018. Queste azioni sono state documentate dalla Dda nell’inchiesta che lo scorso maggio ha portato all’esecuzione di 10 misure cautelari, tra cui quella a carico di Barbato. In concorso con Carmine Lucca, sostiene l’accusa, fino a dicembre 2018 avrebbe preso generi alimentari da un negozio di Teverola senza pagarli. Nel dicembre 2017, invece, avrebbe richiesto denaro da un altro supermercato per conto di Giovanni Improda, che da poco aveva lasciato la prigione.
L’udienza di convalida del fermo disposto dal pm Giordano si terrà nei prossimi giorni davanti al Tribunale di Napoli. Gli avvocati Danino Di Cecco, Luigi Poziello e Giovanni Cantelli assisteranno i tre indagati, da considerarsi innocenti fino a un’eventuale sentenza di condanna irrevocabile.
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