Politica e cultura, queste sconosciute

Vincenzo D'Anna, ex parlamentare

Passano gli anni e tutto muta, come è logico che sia. Solo con maggiore “velocità” rispetto al passato. La globalizzazione dei mercati, la continua e straordinaria evoluzione della scienza e della tecnica, rendono stupefacenti i tempi nuovi, quasi impossibile il sedimentare degli usi e dei costumi in una società, quella moderna, mutevole ed impalpabile. Del tutto all’oscuro di quella graduale continuità del progresso cui, fino a non molti anni fa, era abituata. Insomma: oggi tutto va di fretta. Molto di fretta. Però tale “velocità”, sovente si afferma a discapito della piena conoscenza degli eventi, della riflessione e della consapevolezza con la quale essi vengono poi a modificare le nostre esistenze.

Parallelamente, quasi in contemporanea, con l’aumento del benessere materiale, sale anche il grado di ansia e di precarietà degli individui più che l’acquisizione di una loro condizione di stabilità. La gestione stessa della “cosa pubblica”, gli uomini (ed i partiti che li rappresentano) che guidano il Paese, le scelte avventate e mutevoli da parte del corpo elettorale, sono lì, a testimoniare questo stato di cose: un generale scadimento che poi si traduce nel malgoverno della Nazione e nella scarsa qualità della classe politica. Parliamoci chiaro: sul versante sociale dilaga la precarietà culturale che si spinge finanche alla limitata capacità di saper interpretare un testo di lettura. Un aspetto, quest’ultimo, gravissimo, che vanifica gli sforzi di chiunque si ponga domande sull’esistenza di un legame virtuoso tra chi sceglie e chi viene scelto a governare una società complessa e multirazziale come la nostra.

Un coacervo di cose che paradossalmente, in qualche parte avanza ed in qualche altra si arresta perché è sempre più crescente il livello delle disuguaglianze sociali e di quanto ne consegue per la civile e pacifica convivenza. La società del progresso tecnologico e merceologico, quella del benessere diffuso e senza limiti, che realizza l’auspicio di economisti “socialisteggianti” come Jérémie Bentham e J.S. Mill che fin dal 1800 inneggiavano “al massimo della felicità per il maggior numero di persone”, non può durare in eterno senza che ve ne siano le condizioni politiche e culturali prima che quelle economiche. Di quali “condizioni” stiamo parlando? Eccole: la politica, intesa come modalità di governo dello Stato, ed i saperi ovvero l’istruzione dei cittadini che costituiscono il corpo sociale.

La domanda allora è d’obbligo: esistono queste due condizioni di base oggi in Italia? O, se preferite: possiamo garantire il benessere duraturo della società senza un sistema di governo stabile e democratico ed una larga acculturazione di base del popolo sovrano chiamato a scegliere e decidere? La risposta non può che essere negativa. Nei decenni trascorsi, fin dagli albori del secolo scorso, le mutazioni degli assetti socio economici avevano tutto il tempo di maturare e di consentire ai governi ed alla cultura, di adeguarsi ai tempi ed alle necessità nuove. Oggi non va più così. Oggi mancano sia gli strumenti (politica e cultura), sia il tempo di sedimentazione. Gli italiani sono un popolo di contemporanei che non guarda molto alla Storia (che non conosce), per scarsezza di cultura, né al futuro per senso di responsabilità generazionale, dei posteri nessuno più si cura, così come degli avi nessuno si ricorda. Tutta l’esistenza rischia di identificarsi nella cronaca della vita quotidiana, una riflessione pragmatica, realistica, se vogliamo, che però non indulge nel moralismo e negli appelli sulla necessità di renderci migliori di quelli che realmente siamo (e di quello a cui realmente aspireremmo).

Di cosa ci sarebbe bisogno, allora, per un’inversione di tendenza? Semplice. Occorrerebbe mettere mano alla revisione costituzionale per proiettare i partiti politici tra gli enti di diritto pubblico sotto il controllo di un authority indipendente, consentendo il loro finanziamento da parte dello Stato così da renderli capaci di garantire scelte democratiche e di qualità da proporre, poi, agli elettori. Ma servirebbe anche una vasta intesa riformatrice della scuola, cancellando il ruolo di ammortizzatore occupazionale e di parificazione sociale che essa oggi svolge al posto dell’istruzione. Una scuola realmente libera, gratuita e prodiga verso tutti, docenti e discenti, i quali si distinguono per capacità, laboriosità, risultati. Solo da questi due bastioni di fortezza potrà partire il riscatto dell’Italia. Blaise Pascal, filosofo francese del XVII secolo, scrisse che la storia dell’umanità cammina sulle gambe degli uomini. Ebbene, se il naso di Cleopatra fosse stato più corto, tutta la storia del mondo sarebbe cambiata.

LASCIA UN COMMENTO

Inserisci il tuo commento
Inserisci il tuo nome