CASTELVOLTURNO – Una polveriera pronta a esplodere. Basta una scintilla, un piccolo conflitto tra due delle tante bande che ora animano il Litorale, anche un leggero pestarsi i piedi su uno dei vari affari illeciti ospitati dalla città e, tragicamente, si ritornerà al sangue e al terrore già vissuto con le guerre di mafia. Una previsione nefasta, a tinte nerissime, vero. Ma, purtroppo, assolutamente realistica.
Non solo Caivano
Non è solo il Parco Verde di Caivano la zona calda della Campania che merita attenzioni dal governo di Giorgia Meloni. Spettano anche a Castelvolturno. La città le reclama da anni e adesso chi la vive onestamente le pretende con ancor più forza rispetto al decennio scorso. Per quale ragione? Per non sciupare il duro lavoro svolto dagli inquirenti dell’Antimafia e dagli investigatori di polizia, carabinieri e finanzieri. E se il Parco Verde è una zona che può essere affrontata dallo Stato con metodi più o meno tradizionali (anche se grande è pur sempre un quartiere ben delimitato da poter cinturare e perquisire), Castelvolturno è tutt’altra storia: è un’intera città da gestire, un territorio di circa 72 chilometri quadrati dove a controllare il malaffare non c’è, adesso, un solo clan, ma svariate gang (molte straniere) e ognuna di loro si è radicata in una precisa zona.
Il vuoto di potere
A determinare questa eterogeneità criminale, che rischia di esplodere da un momento all’altro, è il vuoto di potere generato fisiologicamente dalle recenti retate. La Dda, con grande sforzo, negli ultimi anni è riuscita a disarticolare la fazione Bidognetti del clan dei Casalesi, che dalla fine anni degli Novanta aveva assunto il dominio malavitoso su Castelvolturno. Droga, prostituzione, armi, estorsioni: attività illecite tutt’ora presenti, ma che prima erano supervisionate dalla cosca dell’ergastolano Francesco Bidognetti, alias Cicciotto ‘e mezzanotte. Ed era un monitoraggio che cercava di far filare liscio gli affari evitando che si creassero tensioni. La Procura di Napoli, con grande capacità investigativa, è stata in grado di fermare questa compagine sia quando era andata fuori binari con Giuseppe Setola (il leader dell’ala stragista del clan) sia, più recentemente, quando si è riorganizzata sotto la guida, dal carcere, di Gianluca Bidognetti (il figlio di Cicciotto).
L’avanzata delle gang straniere
Spazzati via i Bidognetti (almeno militarmente), Castelvolturno è diventata ora un agglomerato di potenziali ‘impicci’ che, inevitabilmente ha richiamato l’interesse di tantissimi malviventi. Chi c’era già, ed era altro rispetto ai Bidognetti (o in posizione subordinata alla cosca), ha preso più potere. E le aree che si sono ritrovate criminalmente sguarnite sono state occupate da nuove gang. Senza una cabina di regia mafiosa, questi gruppi (mafia nigeriana, albanesi, cittadini dell’est Europa, iraniani e napoletani) in perenne fibrillazione, da contenitori di manovalanza per il clan dell’Agro aversano sono diventati anche dirigenza malavitosa. Adesso gestiscono attività, con metodi violenti, in modo autonomo. E rischiano di innescare guerriglie (per contendersi i business illeciti) che potrebbero azzerare tutti gli sforzi fatti finora dall’Antimafia. È per tale ragione che lo Stato non deve permetterlo. Avrebbe dovuto occupare le aree svuotate dai Bidognetti impedendo l’arrivo (o l’allargamento) di altre compagini. Non l’ha fatto. E adesso deve rincorrere per completare la necessaria azione di sradicamento criminale iniziata con i colpi inferiti ai seguaci di Cicciotto ‘e mezzanotte. Deve agire in tempi rapidi, prima che queste cricche affondino in modo irreversibile le loro radici sul Litorale diventando tutt’uno col tessuto urbano.
Il ritorno dei raid di piombo
Se la mafia ‘classica’, che ha in provincia di Caserta i suoi cuori pulsanti nell’Agro aversano e a Marcianise, è stata protagonista negli ultimi 20 anni di uno switch imponente, che l’ha portata ad appendere al chiodo pistole e kalashnikov scegliendo di muoversi in giacca e cravatta e facendo circolare mazzette a destra e a sinistra, sul Litorale si è radicata quell’area criminale, caratterizzata soprattutto da stranieri (africani e albanesi) a cui proprio la mafia ‘classica’ prova a rivolgersi quando ha ancora bisogno di azioni fisiche (altro elemento che aiuta a spiegare la propensione di chi vive ora criminalmente la città a lasciarsi andare ad attività violente). Giovedì scorso è andata in scena l’ennesima sparatoria: la gambizzazione di un 27enne polacco. A premere il grilletto, stando a quanto finora trapelato, sarebbe stato un africano. Al di là delle cause che hanno innescato questo raid, su cui stanno lavorando i carabinieri, l’episodio è emblema dell’avanzata della criminalità straniera e della loro irruenza (sia vittima che presunto carnefici non sono italiani).
Case per la latitanza
A dimostrare come Castelvoturno sia diventata crocevia di criminali ci sono anche i recenti arresti di latitanti napoletani che avevano scelto proprio il Litorale per nascondersi. Castelvolturno non offre solo ‘case vacanza’, ma anche ‘case per la latitanza’ (e, in realtà, lo fa da diversi anni). Luigi Carandente Tartaglia, elemento di spicco a Quarto del clan Orlando-Polverino-Nuvoletta è stato ammanettato a fine agosto dai carabinieri mentre tentava il ricovero sotto falso nome a Pinetagrande. Qualche settimana prima è stato preso, invece, Gesualdo Sartori, ritenuto al vertice del clan Mazzarella. E’ stato sorpreso nel ‘Green Village’ situato sulla Domiziana.
La droga dei napoletani a Ischitella, le crack house nigeriane a Baia Verde
CASTELVOLTURNO (gt) – Il tempo in cui a decidere le sorti criminali del Litorale erano pochi mafiosi rappresenta il passato. Il presente, invece, vede i 22 chilometri di costa casertana come casa di un agglomerato di cosche ognuna delle quali è riuscita a stabilirsi in una zona (dai confini, però, talvolta liquidi) e a specializzarsi in determinati business. La zona di Ischitella è stata presa d’assalto dai criminali originari del rione Traiano e di Scampia, che hanno trasferito i sistemi di spaccio ‘made in terra partenopea’ a Castelvolturno, con piazze per smerciare droga controllate da una flotta di giovani vedette. E le loro attività si fanno sentire fino a Pinetamare.
La cosiddetta ‘zona di mezzo’, che va dai Regi Lagni a Baia Verde, è controllata, invece, dalla mafia nigeriana, che gestisce un folto giro di prostituzione, diverse crack house e anche immobili adibiti a fabbriche di ‘falso’.
Non solo droga e mercato del sesso: in città resiste anche il traffico di armi, che è in mano agli iraniani fin dagli anni Novanta e si sono stabiliti a ridosso di Baia Verde. Pure diversi gruppi dell’area di Napoli Nord, in particolare da Melito, Sant’Antimo e Frattamaggiore, si sono spostati verso Castelvolturno, scegliendo di stabilirsi tra Destra Volturno e Bagnara, convivendo con gli albanesi che hanno attivato un imponente mercato di auto rubate (con annessi cavalli di ritorno).
In questo scenario così frastagliato, dove gli stranieri stanno assumendo un ruolo di forza, i Casalesi che fine hanno fatto? Sono (quasi) scomparsi militarmente, ma sono rimasti i loro soldi e chi hanno incaricato per gestirli: imprenditori più o meno insospettabili che stanno investendo soprattutto nella zona di Pinetamare.
È un quadro a dir poco eterogeneo e incontrollato, una bomba pronta a deflagrare da un momento all’altro se lo Stato non fa sentire la sua presenza per consentire alla città di sfruttare al meglio le opportunità del Piano nazionale di ripresa e resilienza che ha intercettato. Costruire cittadelle scolastiche, centri sanitari, strutture sportive senza aiutare le forze sociali ‘buone’ a riacquistare gli spazi (e a sentirsi sicuri di viverli) rischia di diventare un’operazione inutile. Colate di cemento senza futuro.
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