ROMA – Stretto nella morsa di due ex leader sulla via del tramonto, il governo Conte trema. Matteo Renzi e Luigi Di Maio, ai lati opposti delle barricate, hanno un’esigenza: esistere. E per farlo hanno bisogno di azioni forti, gesti per certi aspetti spregiudicati. Il fondatore di Italia Viva non molla: la prescrizione i renziani proprio non vogliono votarla. Il grillino, dal canto suo, insieme al fedelissimo ministro della Giustizia Alfonso Bonafede se può alzare il livello dello scontro tra i partner di governo, lo fa. E così, lunedì il faccia a faccia in Consiglio dei Ministri.
Buonafede porterà la riforma in CdM, non si comprende ancora cosa faranno i ministri Teresa Bellanova ed Elena Bonetti. Non si dimetteranno, ma probabilmente porranno un veto. E la palla passerà alle Camere per i voto sul cosiddetto ‘lodo Conte’ (che porta il nome dell’omonimo del premier, il parlamentare Leu Federico). Se alla Camera l’accordo tra Pd-Leu-M5S ha numeri facili, al Senato è indispensabile il voto dei renziani. Che voteranno contro, affossando la riforma.
In mezzo a questo fuoco di fila c’è finito il Partito democratico. Nicola Zingaretti, armato di pazienza e prudenza, prova a mediare. Ma sembra una operazione inutile. Se Iv andrà avanti l’appoggio esterno sembra scontato, anche se Maria Elena Boschi precisa: “Se vogliono, ci caccino dalla maggioranza”. Insomma, un braccio di ferro che sembra non avere né vinti né vincitori. Ma che provoca una frattura a tratti irreparabili, soprattutto agli occhi dell’opinione pubblica, tra gli alleati di governo, mai così litigiosi come oggi.
Il premier Giuseppe Conte cerca i numeri in Senato, potrebbe fare appoggio su un drappello di senatori ‘responsabili’ del gruppo misto, ma la crisi è aperta.
L’esecutivo potrà fare perno sul fatto che nessuno tra le fila di Iv vuole andare al voto, ma è evidente che la tattica di Renzi è quella di sfiancare il Presidente del Consiglio. Infondo, che l’ex premier voglia un cambio al vertice non è una novità. In questo caso il suo naturale alleato sarebbe, paradosso dei paradossi, il nemico di un tempo Di Maio. L’ex capo politico M5S soffre la figura e la leadership di Conte, farebbe carte false per recuperare spazio a suo discapito.
Tra il dire e il fare, ovviamente, c’è di mezzo una mezza crisi di governo in atto, una destra mai doma che nonostante l’opposizione e la battuta d’arresto in Emilia-Romagna resta egemone nel Paese e un Matteo Salvini mai come oggi silente. Il leader del Carroccio attende con ansia il passo falso, mantiene un profilo leggermente più basse e aspetta che i suoi avversari sbaglino da soli. Sullo sfondo, ancora una volta, il Pd.
I dem non riescono ad uscire dall’angolo. La troppo prudenza rischia di vederli schiavi delle bizze dei propri partner di governo. Zingaretti chiede un’accelerazione, ha indetto un congresso per tesi, vuole alleanze stabili nelle Regioni e nei Comuni. Ma nel frattempo la maggioranza di governo si sgretola sotto i colpi di Renzi e Di Maio.
E il Pd rischia di restare intrappolato in un limbo di responsabilità che, questa volta, rischia di portarli al più ‘irresponsabile’ degli epiloghi: il crollo del secondo governo in meno di tre anni. La parola in CdM lunedì.