Privacy e diritto di cronaca: confronto tra giornalisti e autorità

CASERTA – I vertici delle forze dell’ordine e dell’informazione a confronto ieri mattina al Belvedere di San Leucio per il corso di formazione “Cronaca e diffamazione, privacy e deontologia. Le regole e l’evoluzione della normativa” organizzato dalla commissione Giuridico-Economica (presieduta da Ugo Clemente, vicepresidente Salvatore Cristiano, segretaria Sabrina Pietrantonio) dell’Ordine dei giornalisti della Campania, presieduto da Ottavio Lucarelli. “L’intelligenza artificiale – ha detto il sindaco Carlo Marino di Caserta, rivolto ai giornalisti, nel corso dei saluti di apertura – può non solo modificare, ma fare scomparire la vostra professione”.
Il questore di Caserta Andrea Grassi ha incentrato il suo intervento sul rapporto fra informazione e forze dell’ordine: “Se non si dà una notizia si rischia di creare un vuoto: piuttosto che tacere, conviene darla, sempre nei limiti dei codici. Ma quando ci chiamate per avere informazioni, dovete riconoscere che abbiamo più vincoli di legge di voi. Sostenere nella fase delle indagini preliminari che una persona è colpevole è sbagliato, lo dice la Costituzione. Come professionisti della cronaca, spesso potete dare una mano anche a noi”. Il questore ha anche invitato a “non mitizzare modelli criminali”.
Il comandante provinciale dei carabinieri Manuel Scarso ha ricordato la differenza fra informazione e comunicazione: la seconda è un flusso bidirezionale ed è ormai superato il modello del comunicato diramato dalle forze dell’ordine sul quale veniva modellata la notizia, ma c’è un confronto continuo. La sicurezza reale e quella percepita spesso non coincidono: il 78 per cento degli italiani è convinto erroneamente che la criminalità sia aumentata negli ultimi anni.
“Nel 2017 – ha detto il comandante – il 36 per cento dei tg era dedicato alla cronaca nera, il doppio rispetto a quanto accade in Germania. Eppure negli anni ‘70 e ‘80 c’erano centinaia di omicidi di mafia, l’Anonima sequestri, la criminalità politica. Oggi in Italia vengono commessi 300 omicidi all’anno, la metà della sola città di Londra, ma molti talk show parlano di cronaca nera. Negli ultimi giorni le forze di polizia sono intervenute in provincia di Caserta, come per il duplice omicidio di Orta di Atella, e c’è una percezione di paura”. Per questo “siamo cauti nel dare le notizie”. Il comandante ha anche ricordato la storia di un carabiniere donna che ha salvato un’aspirante suicida: nei mesi successivi ci sono stati 1500 interventi del genere.
In base alla legge Cartabia, le forze dell’ordine non diffondono più notizie se non dopo un atto motivato del procuratore. “Per noi sono previste sanzioni – ha aggiunto Scarso – se diamo per scontata la colpevolezza. Quando però un giornalista scrive utilizzando aggettivi, è come se i responsabili fossimo noi”. Si veda il caso dell’inchiesta sulla criminalità a Roma battezzata dall’informazione “Mafia capitale”, quando poi l’imputazione di 416 bis è caduta.
La legge Cartabia, ha ricordato il comandante provinciale della guardia di finanza Nicola Sportelli, “riguarda più noi che i giornalisti. Questi vanno messi nelle condizioni di poter informare, ma ci dobbiamo attenere a quel che decide la Procura e che in sostanza è contenuto nel comunicato”. E a questo punto, “che si organizza a fare una conferenza stampa per ripetere quel che c’è scritto nella nota?”.
L’ufficiale delle fiamme gialle ha notato di aver dovuto esprimersi con il condizionale, in ossequio alla presunzione di innocenza, anche per comunicati su persone arrestate con 50 chili di cocaina.
Enzo Battarra, giornalista e assessore alla Cultura del Comune, ha notato l’”attenzione esasperata al crimine” e lamentato che “ci sono persone che vanno sul luogo del delitto e si fanno selfie”.
L’intervento di Salvatore Cristiano, avvocato, giornalista, vicepresidente della commissione giuridico-economica dell’Ordine dei giornalisti campano, è stato incentrato sull’approccio dell’informazione ai minori. La Carta di Treviso del 1999 ha creato un percorso, ma a volte non è facile stabilire cosa si intende per “minori”: “In Iran le donne sono considerate maggiorenni a 9 anni, in Arabia Saudita a 15 anni, e si dovrebbe applicare la legge dello stato di riferimento”.
Conta anche il taglio positivo o negativo della copertura mediatica: Greta Thunberg aveva 15 anni quando i media hanno iniziato a occuparsi di lei, ma non ci sono state conseguenze perché c’era una proiezione positiva. Gli Usa hanno approvato una legge che potenzialmente vieta TikTok negli Usa se il proprietario cinese della piattaforma di social media non venderà la sua quota entro un anno. “Hanno capito – ha commentato Cristiano – che i minori sono una categoria fondamentale: sono il futuro e spendono molto”. Non deve mai essere data la possibilità di identificare un minore coinvolto in vicende negative: “Se si scrive di una gang di minorenni di Scampia, visto che parliamo di una zona da 50mila abitanti, questo non accade, ma già se indichiamo quale bar frequentano si rischia di commettere un illecito”.
L’esposizione on line ci rende “vulnerabili e ricattabili” e l’attuale bando per i servizi di sicurezza non chiede “pistoleri, ma informatici in grado di proteggere”. E al giorno d’oggi un attacco informatico è “il modo migliore di danneggiare un’azienda”.
In chiusura dei lavori, il presidente della commissione giuridico-economica Ugo Clemente, direttore editoriale di “Cronache”, ha ricordato che “le forze dell’ordine non stanno lì per trasmetterci le notizie: non possono imporci quali pubblicare o no, ma non sono neppure costretti a fornirle”. Il giornalista ha ricordato l’episodio della pubblicazione di alcune foto di arrestati non fornite dai carabinieri: in quella occasione “l’allora comandante provinciale dell’Arma chiamò il nostro direttore responsabile minacciando una denuncia per ricettazione”.
E alcuni colleghi commettono errori nel relazionarsi con esponenti istituzionali: “Non è chiaro che la nostra professione è svincolata dalle forze dell’ordine”. La libera manifestazione del pensiero è un diritto inviolabile, ma in Italia ancora oggi si parla della reclusione dei giornalisti, stigmatizzata dalla Corte di giustizia europea e riproposta dal recentissimo caso della condanna di Pasquale Napolitano.

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