Quel Meridione abbandonato da trent’anni

Parlamento

Molto spesso si sente e si scrive che il dibattito culturale riguardante il Sud sia stato marginalizzato da più un trentennio. Ma poco altro si aggiunge sui motivi, le scelte e quali gruppi di interesse politico abbiano effettivamente giovato di questa mancanza. Da detto tempo il meridionalismo, quella larga corrente di pensiero effervescente che faceva proseliti verso la politica e le decisioni istituzionali, non è stato più in grado di tracciare un sentiero per il cambiamento per le future generazioni di cittadini del Sud. Il dibattito intellettuale e la tensione ideale che questi produceva, che in parte compensavano la mancanza di una classe dirigente in grado di pensare oltre il proprio orticello, hanno battuto in ritirata, lasciando questa parte del paese al proprio destino. Il primo sostanziale attacco al Mezzogiorno avvenne nel 1992, allorquando il sistema degli incentivi straordinari specifici per il Sud si trasformò in aiuti ordinari rivolti a tutte le aree depresse dell’intero paese. Parallelamente cominciò la privatizzazione del sistema bancario italiano dapprima con Giuliano Amato (1990), poi completata da Lamberto Dini (1994) e, per finire, da Carlo Azeglio Ciampi (1998). Da ultimo, il quadro si completò con lo smantellamento delle Partecipazioni Statali, esasperando ancora di più la situazione sociale ed economica.
Tutto ciò avveniva dentro la cornice del rigorismo europeo giustificato dalla retorica dei “sacrifici”, così nacque la finanziaria “lacrime e sangue” di Giuliano Amato, del valore di 100mila miliardi di lire. Il passaggio dalla lira all’euro, a monte, e la distruzione dello stato sociale, a valle, seppellirono il Sud. In questa parte del paese, senza uno sbocco internazionale del mercato interno e con uno Stato meno presente nell’economia, deflagrarono tutti i sogni di ripresa e del superamento del disallineamento con il centro-nord, allontanando finanche la sola prospettiva del recupero delle differenze con l’altra parte del paese. E qui muore il meridionalismo. Scompare la questione meridionale dal radar dei Governi nazionali e si affievolisce pesantemente quella effervescenza culturale che aveva accompagnato e condizionato le scelte politiche fin qui. Basta portare alla luce un solo dato per dimostrare quanto falso veniva giustificato, in quegli anni, per massacrare il Sud: dal 1981 al 1998, l’intervento straordinario e ordinario per il Mezzogiorno passò dall’1,19% allo 0,4%. Ad un terzo degli italiani (circa 20 milioni) veniva trasferito meno dell’1% del valore totale del Pil nazionale.
È come non ricordare, in questo contesto, la “scomparsa” del Banco di Napoli, che forniva linee di credito a imprese e famiglie del Mezzogiorno, un volano di sviluppo dell’economia meridionale, afflitto dal venire meno del sostegno statale, da un lato, e dalle passività e dalla crisi dei creditori, dall’altra. Poi, i partiti fecero tutto il resto per “mangiarsi” il più grande e prestigioso istituto bancario del Sud e non solo. Quando inizia il nuovo secolo, con legge costituzionale (riforma del Titolo V) l’articolo 119 venne epurato dalla parola “Mezzogiorno”. La politica cancella il Sud come questione nazionale anche nelle “sue” regole scritte. Non rimane più nulla.
Queste scelte sostanzialmente fanno crescere il divario tra Nord e Sud, mandando in sofferenza la crescita del Pil, la produttività e gli investimenti, nei settori primari e secondari, dell’economia del meridione. Gli intellettuali, innanzitutto storici economici e filosofi, sembrano perdere quella patina culturale capace di dimostrare i mali prodotti dall’idea di un Sud mosso da una economia capitalista, dove il mercato regola tutto, perfino il ruolo dello Stato.
In questo tempo storico manca una scuola di pensiero capace di “sovvertire” un trentennio di scelte fondate sul falso presupposto delle due Italie, l’una produttiva e l’altra sprecona. Manca una classe politica illuminata e capace di accorciare le distanze tra l’una e l’altra. Manca una autocritica “dentro” il Sud, capace di mettersi in discussione e lasciare l’errore dell’autosufficienza. Tra il dito e la luna, il Mezzogiorno ha scelto di guardare al primo. Gli orizzonti vanno alzati.

Raffaele Carotenuto
Scrittore e meridionalista

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