ROMA – Quando la prassi diventa regola. Forse la più attesa nella notte di San Silvestro. È così per l’ultimo discorso di Sergio Mattarella agli italiani. Per il consueto messaggio di auguri per la fine dell’anno (e l’ultimo del suo mandato), il presidente cambia ancora location, scegliendo lo studio alla Vetrata, stanza dove si svolgono gli incontri ufficiali con i Capi di Stato ospiti e le consultazioni con i segretari di partito per la formazione del Governo. Mattarella è in piedi senza leggio, con alle spalle la bandiera italiana e quella europea. Sullo sfondo le finestre del locale che danno sui giardini del Quirinale. Nei primi discorsi, l’attuale inquilino del Colle, ha abbracciato la tradizione, parlando agli italiani dalla scrivania, poi su una poltroncina all’angolo dello studio e infine lo scorso anno con alle spalle il cortile d’onore del Quirinale. Anche per questo ultimo discorso l’attuale presidente sposa la formula stringata e senza fronzoli, poco più di 15 minuti, premiata negli anni dagli italiani con un record di ascolti nel 2020 di oltre 15 milioni di spettatori davanti alla tv. Resta il fatto che le parole rivolte dal presidente agli italiani, nell’ultima notte dell’anno, sono una consuetudine inaugurata nel 1949 con il primo discorso di Luigi Einaudi, ma non dettata dalla Costituzione che prevede, invece, per il capo dello Stato le sole comunicazioni alle Camere. Nessun messaggio per Enrico De Nicola, che ricopre l’incarico per 5 mesi.
Einaudi lancia dunque l’appuntamento con un messaggio stringato e formale, lontano dai discorsi che oggi hanno un sapore più colloquiale e diretto, per entrare nel cuore dei cittadini. “Nel rigoglio di intimi affetti suscitato da questa trasmissione mi è caro interpretare con la mia parola il fervore di sentimenti che, come sulla soglia di ogni anno, cosi nell’attuale vigilia tutti ci accomuna in un palpito di mutua comprensione e di fraterna solidarietà”, sono le prime parole. Un nuovo anno “per tutti foriero almeno di talune fra le soddisfazioni desiderate”, con l’auspicio di “confortarsi di una atmosfera di pace in cui sia a tutti dato di realizzare nuove tappe sulle vie del civile progresso”, dice Einaudi. Il primo discorso registrato è invece nel 1950 dalla Incom (Industria Corti Metraggi Milano), indirizzato uno agli italiani in Italia e uno a quelli all’estero. La tv invece trasmette il primo messaggio agli italiani nel 1954, con Einaudi che, sempre in stile stringato e ancora molto istituzionale, invoca una “patria vieppiù impegnata nella vasta opera di perfezionamento e di sviluppo del comune patrimonio di beni morali e materiali”.
Tra i discorsi più famosi, pronunciati dall’inizio della Repubblica, c’è quello di Antonio Segni nel 1962, quando annuncia le sue dimissioni. Tra i più importanti di sempre, per valore politico e carica emozionale, quello di Sandro Pertini a pochi mesi dall’uccisione di Aldo Moro l’8 maggio del 1978. “Italiane e italiani, vi confesso che non volevo introdurmi nell’intimità delle vostre case in questo giorno in cui festeggiate il sorgere dell’anno nuovo, ma il mio silenzio sarebbe stato male interpretato”, esordisce il capo dello Stato. E poi le parole più dure quando, uscendo dalla sacralità del suo ruolo, Pertini ammette: “Bisogna riconoscere con franchezza che non siamo sufficientemente attrezzati per affrontare il terrorismo”. Impressi nella memoria degli italiani i tre minuti pronunciati da Francesco Cossiga nel 1991. È l’ultimo discorso e il presidente Picconatore spiega agli italiani perché non aveva voglia di dire niente.
L’anno successivo Oscar Luigi Scalfaro, neoeletto, segna un punto nella storia dei discorsi di fine anno, abbandonando lo stile ingessato e avvicinandosi ai cittadini: “Buona sera a tutti, Buon anno! È l’augurio, il primo mio augurio; mi emoziona nel presentarlo, quasi lo vedessi partire da me e giungere a voi, a tutti voi: a chi lo accoglie con bontà, e gli sono grato… a chi non lo gradisce, ed io me ne scuso”. Sempre di Scalfaro la novità, nel 1998, di cambiare location. L’inquilino del Colle parla agli italiani da un salottino del Quirinale, e non dalla solita scrivania del suo ufficio.
(Donatella Di Nitto – LaPresse)