Quirinale, Draghi apre: “Governo avanti indipendentemente da chi c’è. Io nonno delle istituzioni”

Le parole del premier

Ufficio Stampa Palazzo Chigi / LaPresse - Roma, Italia in foto il Presidente del Consiglio Mario Draghi
Ufficio Stampa Palazzo Chigi / LaPresse - Roma, Italia in foto il Presidente del Consiglio Mario Draghi

ROMA – Il messaggio è chiaro, inequivocabile fin oltre le aspettative. Non ci si candida per il Quirinale – Mario Draghi lo sa e sa come muoversi tra le liturgie della politica – ma a chi in più occasione ha chiesto un segnale, ne manda uno che suona come definitivo. Il premier segna la rotta sin dalla prima delle (tante) domande che, nella consueta conferenza stampa di fine anno, i giornalisti gli rivolgono sul suo futuro ‘vista Colle’. Alla prima esordisce con una risata ma va dritto al punto: “Abbiamo conseguito tre grandi risultati. Abbiamo reso l’Italia uno dei paesi più vaccinati del mondo, abbiamo consegnato in tempo il Pnrr e raggiunto i 51 obiettivi. Abbiamo creato le condizioni perché l’operato del governo continui indipendentemente – scandisce- da chi ci sarà, l’importante è che il governo sia sostenuto da una maggioranza come quella che ha sostenuto questo governo, ed è la più ampia possibile”.

“Soddisfazione” per gli obiettivi raggiunti e “responsabilità” in vista di quelli futuri sono per l’ex presidente Bce “categorie collettive, non individuali” ed è quindi dal sostegno delle forze politiche che dipende la capacità di azione di un Governo. Anche la decisione su chi sarà il successore di Sergio Mattarella spetta “interamente” al Parlamento, ma il convincimento di Draghi è che l’esecutivo in carica ha fatto “tutto”, si lascia scappare, “molto – si corregge subito dopo – di quello che era stato chiamato a fare, tutti noi abbiamo speso tutti noi stessi”. Compito esaurito, o quasi, quindi. Draghi non risponde direttamente alle domande sul suo futuro (“non è che non mi piacciono, è che non ho risposte”, si schermisce) ma l’indicazione che dà è in realtà più di una semplice indicazione di rotta. “Il mio destino personale non conta assolutamente niente, non ho particolari aspirazioni di un tipo o di un altro, sono un uomo e un nonno al servizio delle istituzioni”, dice chiaro, ma “la responsabilità della decisione” sul Colle “è nelle mani delle forze politiche”.

La palla, insomma – la sfida, quasi – è ai partiti. Il faro resta quello dell’unità. “Certamente”, ammette il premier, che la maggioranza di governo si possa dividere sull’elezione del nuovo capo dello Stato “è uno scenario da temere”. La suggestione che Draghi indirizza a chi in Parlamento deciderà (anche) il suo destino è chiara: “Ci vuole una maggioranza ampia, anche più dell’attuale, perché l’azione di questo Governo continui, e chiedo soprattutto alle forze politiche se è immaginabile una maggioranza che si spacchi sull’elezione del presidente della Repubblica e si ricomponga magicamente quando è il momento di sostenere il governo. È una domanda che dobbiamo farci”. La risposta lasciata intendere suona più o meno così: se i partiti non trovassero una figura unitaria e iniziassero a farsi la guerra sul Colle, la sua esperienza a palazzo Chigi sarebbe comunque conclusa. In questo momento, invece, è il suo convincimento, l’elezione del nuovo Capo dello Stato dovrebbe essere “rapida e condivisa”. Tradotto in termini di passaggi parlamentari, questo vorrebbe dire eleggere il nuovo inquilino di quello che era il palazzo dei Papi già alla prima votazione, quando è necessaria la maggioranza assoluta dei 1007 grandi elettori. Da oggi, quindi, il ‘magic number’ sul quale si concentrerà chi, tra i partiti, tiene il pallottoliere è 672.

“Se la maggioranza si accorda su Draghi al Colle non ci sono franchi tiratori che tengano, però il difficile sarebbe trovare il nome del successore del premier a palazzo Chigi”, è il ragionamento di un deputato della maggioranza. Il totonomi è già partito. Per i bookmakers del Transatlantico Marta Cartabia resta in pole (mentre scenderebbero le quotazioni di Daniele Franco, dopo “l’irritazione” dei gruppi sulle tempistiche della legge di bilancio). Se alla fine davvero l’ex uomo di Francoforte fosse scelto quale futuro presidente della Repubblica in una delle prime votazioni, dovrebbe rassegnare le dimissioni da capo del Governo nelle mani di Mattarella (in carica fino al 3 febbraio). A quel punto l’inquilino del Colle, dopo averle accettate, potrebbe mettere fine al suo mandato aprendo a Draghi le porte del Quirinale e sarebbe il neopresidente a svolgere le consultazioni per la formazione del nuovo governo nello studio alla Vetrata. Fantapolitica, almeno per adesso. Ma se davvero dovesse andare così, Draghi sa già a chi ispirarsi: “Sergio Mattarella ha svolto splendidamente il ruolo, l’ha fatto con dolcezza e fermezza, ha attraversato momenti difficilissimi nel settennato e ha scelto con lucidità e saggezza. E’ l’esempio, il modello”, dice senza mezzi termini. Nessun nuovo ‘potere’, nessun ‘accompagnamento’ all’azione dell’esecutivo: “Il governo è un governo parlamentare, questo è quello che prevede la Costituzione. Il Presidente della Repubblica non è tanto un notaio quanto un garante – sottolinea – L’esempio del Presidente Mattarella è forse la migliore guida all’interpretazione del ruolo del Presidente della Repubblica”.

Nadia Pietrafitta (LaPresse)

LASCIA UN COMMENTO

Inserisci il tuo commento
Inserisci il tuo nome