NAPOLI – Rosario Minervini è una delle figure più carismatiche e appassionate del panorama teatrale italiano. Con un percorso che abbraccia sia il teatro che la televisione, la sua carriera è caratterizzata da un profondo amore per il palcoscenico, un sentimento nato nella sua infanzia e cresciuto fino a diventare una vocazione. La sua straordinaria sensibilità attoriale lo ha portato a calcare i più importanti teatri, collaborare con grandi nomi della scena italiana e fondare una compagnia teatrale tutta sua. In questa intervista, Minervini ci accompagna alla scoperta del suo mondo, fatto di emozioni, sacrifici e sfide continue, raccontandoci come il teatro sia diventato non solo la sua professione, ma una vera e propria ragione di vita.
Rosario, come hai scoperto la tua passione per il teatro?
E’ una storia che inizia nella mia infanzia. A soli tre anni, ricordo che in famiglia si guardava sempre la commedia Natale in Casa Cupiello di Eduardo De Filippo, un classico del teatro napoletano. Nonostante la mia tenera età, rimasi affascinato dalla potenza delle emozioni che riuscivano a trasmettere gli attori. Non capivo ancora appieno i dialoghi o i temi, ma percepivo che qualcosa di magico accadeva davanti a me. Lì ho capito che il teatro era qualcosa che mi coinvolgeva profondamente, che mi faceva vibrare. Quelle sensazioni le porto ancora dentro ogni volta che salgo sul palco.
A 14 anni hai iniziato il tuo percorso nel Laboratorio pratico del Teatro Totò. Cosa ha significato per te?
E’ stato un momento cruciale della mia vita. Il Laboratorio pratico del Teatro Totò, sotto la guida di Gaetano Liguori e Davide Ferri, è stato per me un vero e proprio punto di partenza. Liguori e Ferri li considero i miei “padri artistici”. Sono stati loro a mostrarmi cosa significasse davvero fare teatro, insegnandomi non solo le tecniche recitative, ma soprattutto il valore della disciplina e della dedizione. In quel laboratorio ho realizzato il mio primo grande sogno adolescenziale: salire su un palcoscenico. Ero pieno di energia e voglia di fare, e quando, a 18 anni, ho debuttato con Madama Sangenella di Eduardo Scarpetta accanto a due mostri sacri come Rino Marcelli e Sergio Solli, è stata un’emozione indescrivibile. Mi sembrava di vivere una fiaba. Ho imparato tanto da loro, soprattutto a rispettare il palcoscenico e il pubblico.
C’è un episodio in particolare che ti ha lasciato un segno profondo durante il tuo percorso artistico?
Sì, c’è un episodio che non dimenticherò mai. Era poco prima di una rappresentazione e la madre di un attore della compagnia è venuta a mancare. Nonostante il dolore straziante, lui decise di salire sul palco e recitare. Ci fu un momento, durante gli ultimi minuti della rappresentazione, in cui rimasi da solo in scena con lui, in un monologo che per noi era carico di significati profondi, anche se il pubblico non poteva percepirlo. Quando lo spettacolo finì, lui corse via per stare con la madre, senza fermarsi nemmeno per gli applausi. E’ stato un gesto di straordinaria professionalità, ma anche un’immensa dimostrazione di quanto il teatro possa essere un rifugio, un luogo in cui, anche nel dolore più grande, si può trovare forza e conforto. E’ un momento che mi ha insegnato cosa significhi veramente amare il teatro, con tutto il cuore e l’anima.
Dopo anni di esperienza nei teatri, sei passato anche al cinema e alla televisione. Com’è stato lavorare in questi ambiti?
Lavorare nel cinema e nella televisione è stato un percorso parallelo molto interessante e formativo. Nel 2018 ho avuto il privilegio di recitare nel film San Valentino Stories, diretto da Antonio Guerriero, Emanuele Palamara e Gennaro Scarpato. E’ stato un progetto corale che mi ha permesso di esplorare un linguaggio diverso rispetto a quello teatrale. Ogni scena era curata nei minimi dettagli, e anche se il cinema ha ritmi diversi, ho ritrovato la stessa intensità che vivo in teatro. Poi c’è stata l’esperienza nella serie televisiva La Squadra, dove ho avuto il piacere di lavorare con attori straordinari. Ogni progetto mi ha permesso di crescere come artista, arricchendo il mio bagaglio di esperienze.
Insieme a Ciro Esposito e Salvatore Catanese, hai fondato la compagnia Atomi Bros. Come è nata questa avventura?
La compagnia Atomi Bros è nata dal desiderio di esplorare nuove possibilità artistiche e di creare qualcosa di nostro, qualcosa che potesse rappresentare al meglio il nostro approccio al teatro. Io, Ciro e Salvatore abbiamo condiviso tantissimi momenti professionali e alla fine abbiamo deciso di unire le forze. Il nome della compagnia racchiude un po’ il nostro spirito: tre uomini su un palco, come tre atomi che interagiscono tra loro per creare energia. La nostra prima commedia, Tutti giù per terra, è stata un’esperienza incredibile. La scenografia rappresentava un palazzo popolare partenopeo, ma il cuore dello spettacolo erano i segreti, le confessioni e le storie personali che si intrecciavano tra i personaggi. Ogni attore era perfettamente calato nel proprio ruolo, ed è stato emozionante vedere come il pubblico reagiva. Ora siamo pronti per una nuova sfida: dal 12 ottobre debutteremo in Kosovo con una rappresentazione per l’Esercito italiano, organizzata da Gianfranco Paglia. Poi, a Napoli, dal 31 ottobre al 3 novembre, porteremo in scena Racconti Mannari, una commedia in tre atti in cui reciterà anche Martina Sionne. Dopo la tournée italiana, torneremo a Napoli al Teatro Totò con Prendiamola così.
Che ruolo ha il teatro nella tua vita oggi?
Il teatro per me è tutto. E’ vita, è energia, è un luogo dove posso essere me stesso, ma anche chiunque altro. Ogni volta che entro in scena, provo una forte emozione. Anche se lo faccio da anni, l’ansia e il batticuore prima di entrare sul palco ci sono sempre. Penso che questa emozione sia fondamentale per mantenere viva la mia passione. Il teatro non è solo un lavoro, è un luogo sacro dove si creano connessioni profonde con il pubblico. Inoltre, credo che il teatro possa essere un potente strumento per combattere la devianza giovanile. E’ arte, cultura, educazione. Aiuta i giovani a crescere sani, dando loro una via d’uscita e un modo per esprimersi. Attori come Eduardo De Filippo, Eduardo Scarpetta e Vincenzo Salemme hanno lasciato un’eredità immensa, e noi cerchiamo di portare avanti quel messaggio con la stessa passione e impegno.
Cosa rappresenta per te il rapporto con il pubblico?
Il pubblico è la linfa vitale di ogni spettacolo. Senza di loro, il teatro non esisterebbe. E’ incredibile vedere come le persone reagiscono a quello che facciamo sul palco, come ridono, piangono o si emozionano. Il teatro è un dialogo continuo tra attori e spettatori. Ogni volta che il sipario si alza, è come se entrassimo insieme in una dimensione nuova, dove per qualche ora possiamo dimenticare tutto il resto e vivere intensamente le emozioni del momento. Ogni applauso, ogni sorriso del pubblico mi ripaga di tutti gli sforzi e mi dà la forza di continuare.
Quali sono i tuoi progetti futuri?
Dopo il debutto in Kosovo e la tournée nei teatri italiani, torneremo a Napoli, al Teatro Totò, con la commedia Prendiamola così. Sarà un’altra grande sfida, ma sono sicuro che ci divertiremo e faremo divertire il pubblico. Il teatro è il mio mondo, e continuerò a viverlo con lo stesso entusiasmo e la stessa passione che avevo il giorno del mio debutto. Ogni spettacolo è una nuova avventura, e non vedo l’ora di scoprire dove mi porterà il prossimo passo.