CASAL DI PRINCIPE – Il clan Iovine è sostanzialmente scomparso: dalle sue ceneri è nata un’organizzazione, con base a San Cipriano d’Aversa, dedita alle estorsioni, diretta, fino al 2021, da Oreste Reccia, alias Recchia ‘e lepre, e quando quest’ultimo è finito in cella, dice la Dda di Napoli, è passata sotto la leadership di Emilio Martinelli, 33enne figlio del boss Enrico, che avrebbe ampliato i business del gruppo decidendo anche di dedicarsi alle truffe e allo spaccio di droga. Gli Zagaria, che da anni hanno appeso al chiodo le armi, sono impegnati, invece, in una fase di inabissamento: vogliono tornare invisibili per dedicarsi ai loro business radicati tra Italia ed Europa dell’Est. Periodo nero per la cosca Bidognetti: è stata dimezzata grazie all’indagine condotta dai carabinieri che nel 2022 ha portato in cella e fatto condannare numerosi suoi affiliati.
Insomma, per le varie cosche del clan dei Casalesi è tempo di ricostruzione. E chi avrebbe dovuto avere il compito di riassettare l’organizzazione, ponendo di nuovo la famiglia Schiavone al vertice della cupola, sarebbe dovuto essere Emanuele Libero. La sua scarcerazione è prevista per agosto. Da chi vive nel crimine è visto come il messia del male, l’uomo in grado di ridare forza alla macchina mafiosa. E a fornire questa visione agli inquirenti della Dda, suo malgrado, è stato il fratello Ivanhoe. Era febbraio 2021 quando incontrò nei pressi del bar Guida, a San Cipriano d’Aversa, Vincenzo D’Angelo (da dicembre 2022 collaboratore di giustizia), alias Biscottino, genero del boss Francesco Bidognetti. Iniziarono a discutere della crescita economica di Emilio Martinelli ‘o barone. Il giovane, ora in carcere cautelarmente con l’accusa di mafia, è ritenuto dagli inquirenti il nuovo capo dell’ala sanciprianese. E da quella chiacchierata ascoltata dai poliziotti è emerso l’astio che gli Schiavone provavano (e provano) nei confronti di ‘o barone.
D’Angelo informò Ivanhoe di un confronto che aveva avuto con Martinelli, il quale gli chiarì che “era di un’altra famiglia” e che si stava organizzando con un suo gruppo dove avrebbero militato tale Giuseppe Del Vecchio e Gaetano Diana, figlio del capozona Elio Diana (cognato del boss Cicciariello). Ivanhoe commentò le varie informazioni ricevute da Biscottino sul comportamento di Martinelli (arrestato a ottobre dalla Squadra mobile di Caserta per associazione mafiosa) tirando in ballo proprio Emanuele Libero: “Ma quelli adesso stanno tutti quanti così perché Emanuele deve uscire. […] Stanno tutti quanti, non sanno… non sanno dove devono scappare”. Insomma, a breve sarebbe arrivato in città il vero leader. E seppure in cella, Emanuele Libero avrebbe fatto sentire in questi anni la propria voce all’esterno grazie ai tanti cellulari che circolano nelle prigioni. E a dare conferma su questa circostanza è stato ancora D’Angelo: ai magistrati, il 9 gennaio scorso, ha riferito di aver appreso da Ivanhoe Schiavone che il fratello Emanuele Libero “aveva un telefono all’interno del carcere con cui gli parlava”. D’Angelo ha raccontato ai magistrati che per Ivanhoe il suo clan adesso “tira avanti”, insomma, non naviga in buonissime acque. Ed è per questo che attendeva (attende?) trepidante le scarcerazioni di Emanuele Libero e dell’altro fratello, Carmine: i due avrebbero potuto riuscire a risollevarlo: “Sosteneva – ha dichiarato Biscottino – che sarebbero stati loro a prendere in mano le redini della famiglia”.
Questo disegno di rinascita criminale, però, adesso potrebbe esser interrotto (si spera) dalla scelta del capoclan Francesco Sandokan Schiavone. Se anche il leader dei Casalesi ha deciso, come già aveva fatto il suo primogenito Nicola, di collaborare con la giustizia, la base del progetto malavitoso su cui si sarebbe dovuto fondare la ricostruzione di Emanuele Libero è venuta meno. E magari anche lui, con il tempo, capirà che la strada della mafia porta soltanto morte e sofferenza. E che finché si ha la possibilità di scegliere, è giusto decidere di abbandonarla.
La droga, la fine della cassa comune e le mazzette per ottenere appalti
È diventato altro. Il clan dei Casalesi raccontato dalle inchieste che hanno portato in cella i suoi storici padrini non esiste più. Negli ultimi 15 anni, oltre a cambiare priorità e approcci criminali, ha detto gradualmente addio alla cassa comune. La struttura chiamata a raccogliere parte dei proventi criminali racimolati dalle varie cosche per garantire stipendi agli affiliati è scomparsa. E a darne conferma è stato Vincenzo D’Angelo, consorte di Teresa Bidognetti ed ex braccio destro di Gianluca Bidognetti. “Attualmente, il clan dei Casalesi ha una struttura frammentata, almeno per come sono in grado di dire fino al 22 novembre scorso, data del mio arresto. Per frammentata – ha raccontato il pentito al pubblico ministero Maurizio Giordano -, intendo dire che non esiste più una cassa comune gestita da persone incaricate dal clan. Ciò significa che ogni famiglia percepisce gli utili da alcuni canali di finanziamento che servono a sostenere non soltanto le famiglie dei detenuti al 41 bis, ma anche le famiglie dei detenuti per fatti associativi camorristici e quelle di coloro i quali sono tornati in libertà dopo lunghi periodi di detenzione. In estrema sintesi – ha concluso – posso dire che bisogna distinguere nettamente fra il gruppo Schiavone, il gruppo Bidognetti e il gruppo Zagaria”.
In questo scenario di disgregazione, il fatto che Francesco Sandokan Schiavone, l’ultimo simbolo che avrebbe potuto tenere unito ciò che restava del clan, ha scelto di pentirsi potrebbe far suonare il de profundis per la mafia casalese. Questo, però, non significa che scomparirà, ma che assisteremo all’ennesima sua mutazione. Una parte andrà a ricalcare le dinamiche partenopee, con la genesi di piccoli gruppi criminali che si dedicano perlopiù alla droga, alle truffe e che proveranno periodicamente a tastare la permeabilità del territorio provando a spillare denaro a commercianti e imprenditori. Un’altra proseguirà nel suo percorso di fusione con il mondo imprenditoriale: alla forza delle armi continuerà a preferire quella delle mazzette (più silenziose e redditizie) per inserirsi nel giro degli appalti pubblici.
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