Che negli ospedali e nelle Asl della Campania lavorino medici e sanitari di primo livello noi di Cronache lo sappiamo da sempre. E non solo perché la nostra quotidiana opera di monitoraggio e controllo ci permette di conoscere a fondo cosa accade in corsia ma soprattutto perché siamo noi stessi utenti e pazienti. Quando si parla di ‘eccellenze’ in campo medico qui in Campania il giudizio comprende la preparazione e le competenze dell’operatore ma pure le condizioni nelle quali è costretto a operare: condizioni spesso inversamente proporzionali alla sua bravura. Del resto, questa è la terra in cui medici eroi non hanno esitato ad assicurare le cure ai pazienti una notte di gennaio di qualche anno fa utilizzando coperte sul pavimento al posto delle barelle tutte occupate e il governatore De Luca invece di premiarli ha aperto un’indagine interna. Quell’immagine che fece il giro d’Italia in qualsiasi altro posto sarebbe stata una medaglia in petto: non in Campania, dove i ‘commentatori’ hanno sempre parole per tutto tranne che per il problema all’origine: chi determinò, quella notte, quella situazione? Chi permette che il Cardarelli, praticamente tutti i giorni, sia una distesa di barelle? Chi fa in modo che per avere un esame un povero cristo senza conoscenze debba aspettare otto mesi? Chi comanda, ovviamente. Non i medici, né gli amministrativi, ma i direttori generali nominati dalla politica. Che probabilmente in corsia non scendono da anni, comodi come sono sulle loro poltrone, certi di trovare il loro lauto stipendio qualunque cosa accada. E che non hanno il minimo interesse a dire al ‘capo’ che qualcosa non va. Un tempo, molto lontano per la verità, qualcuno osò sollevare il problema. “La sanità non deve mischiarsi con la politica, le nomine dei manager non possono essere prerogativa del governatore”, diceva a gran voce Valeria Ciarambino, allora capogruppo di quel Movimento 5 Stelle che si diceva diverso dalla politica ma che poi alla fine si è rivelato uguale, se non peggiore. Io me la ricordo, tuonare contro “il patto delle fritture di pesce”, quella convention passata alla storia perché il governatore, incontrando i suoi grandi elettori – tra cui anche tanti manager miracolati da lui stesso – invitava a votare Renzi in cambio di gustosi piatti di gamberi e calamari offerti dall’amico Franco Alfieri. “De Luca rappresenta il peggio della politica. La politica delle poltrone, della clientela scientifica, la politica dei Franco Alfieri e delle fritture di pesce. Di chi non ha remore nel calpestare ogni principio di trasparenza e di meritocrazia pur di avocare a sé il potere di nomina in ruoli chiave dell’amministrazione regionale, come De Luca ha dimostrato quando, tra i suoi primi atti, ha cambiato i criteri di nomina dei manager nella sanità. Il M5S non sarà mai alleato di De Luca”. Il Movimento forse no, ma lei e Di Maio sì. La frittura di pesce, del resto, è un piatto che piace quasi a tutti.
© riproduzione riservata